Il presente lavoro si interroga, ad otto anni dalla sua emanazione, sulla tenuta delle disposizioni della legge c.d. Cirinnà sui contratti di convivenza alla luce dei principi di autonomia privata e protezione del soggetto vulnerabile della coppia, e sul suo rapporto con la disciplina del diritto dei contratti. Tali principi fungeranno altresì da tertium comparationis per l’analisi di altri due ordinamenti europei, quello inglese e quello francese, in cui l’esperienza dei contratti di convivenza è più risalente di quella italiana. Verranno, in particolare, presi in esame i cohabitation contracts per quanto riguarda l’Inghilterra, e i pactes civiles de solidarité francesi.
L’obiettivo del contributo è quello di valutare le risposte delle normative sopraindicate ai bisogni, agli interessi ed alle esigenze, patrimoniali e non, delle coppie di conviventi, e di interrogarsi sulla possibilità di intravedere i tratti essenziali di un modello europeo dei rapporti contrattuali tra conviventi.
This essay questions the provisions on cohabitation agreements, as provided for by the so-called “Cirinnà law”, eight years after its enactment, in the light of the principles of private autonomy and vulnerability; as well as their relationship with general Italian contract law provisions. These two principles serve also as a sort of tertium comparationis for an analysis of the French and the English and Welsh legal systems, specifically dealing with the pactes civiles de solidarité and the English law regime on cohabitation contracts.
The final aim of this article is to evaluate the answers of the above-mentioned legal systems to the economic and non-economic needs and interests of unmarried couples, and to evaluate whether it might be possible to draw a common European model of contracts between cohabitants.
1. Il diritto delle relazioni affettive e la messa in discussione di una dicotomia. - 2. Famiglia, contratto, Europa. - 3. Ordinamenti a confronto. Cenni su contratti di convivenza ed autonomia privata. - 4. Segue. Contratti di convivenza e vulnerabilità. - 5. Verso un modello europeo? Qualche spunto di riflessione. - 6. Considerazioni conclusive - 7. NOTE
Nel romanzo che l’ha resa nota al grande pubblico, “Il dio delle piccole cose”, la scrittrice indiana ArundhatiRoy mette in discussione le “leggi dell’amore”, che determinano “chi bisogna amare, come e quanto [1]”. In Italia, tra le “leggi dell’amore” si annovera la c.d. legge Cirinnà (l. n. 76/2016) che ha introdotto nel nostro ordinamento le unioni civili tra le persone dello stesso sesso (art. 1, commi 1-35) e regolamentato le convivenze di fatto (art. 1, commi 36 ss.), ed in particolare i contratti di convivenza (art. 1, commi 50 ss.) [2]. La legge, lungamente attesa, non ha, secondo parte della dottrina, soddisfatto le aspettative [3]. Alle unioni tra persone dello stesso sesso è stata conferita rilevanza giuridica, ma non la stessa tutela accordata alle coppie matrimoniali. Gli effetti giuridici delle convivenze di fatto sono stati definiti, e i contratti di convivenza, in una certa misura, “tipizzati” [4], ma sono state sollevate diverse critiche con riferimento ad alcune scelte legislative dotate di implicazioni sistematiche (per esempio, il fatto che il legislatore non abbia riconosciuto la natura familiare dei rapporti di coabitazione, che trovano, invece, la loro legittimazione normativa nelle formazioni sociali di cui all’art. 2 della Costituzione [5]). Il contratto di convivenza potrebbe essere descritto come un contratto a causa familiare, con il quale due conviventi, vale a dire “due persone maggiorenni stabilmente unite da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”, scelgono di regolare gli assetti patrimoniali del proprio rapporto [6]. Tale istituto sembra espressione del passaggio dallo status al contratto [7] che si è verificato nel diritto di famiglia contemporaneo [8]. Se tradizionalmente, infatti, negli ordinamenti occidentali, la materia delle obbligazioni e quella della famiglia sono state concepite come inevitabilmente distanti tra loro, tale assunto appare, oggi, quantomeno meritevole di riconsiderazione [9]. L’idea della “specialità” del diritto di famiglia è stata a lungo giustificata dalla presenza, in quest’area giuridica, degli aspetti intimi, legati alla sfera privata dell’individuo, e in tal senso non riconducibili al novero degli interessi negoziabili. Si tratta, a ben vedere, [continua ..]
Come è noto, l’Unione Europea non ha competenza in materia di diritto di famiglia, ad eccezione delle “misure aventi implicazioni transnazionali” (art. 81 TFUE)[28]. Eppure, sin dagli anni settanta, il diritto comunitario ha esercitato una forte influenza sul diritto di famiglia nazionale, soprattutto attraverso l’emanazione di atti normativi rivolti a combattere le discriminazioni, specialmente di genere [29]. D’altra parte, “un’Europa che si limitasse a registrare una realtà familiare disarticolata e dispersa, sicuramente verrebbe meno agli scopi e agli obiettivi suoi propri” [30]. L’Europa solidale [31], inaugurata con il trattato di Maastricht, con cui è stata istituita la cittadinanza europea, riconosce, infatti, diritti e libertà agli europei in quanto tali, e non solo in quanto attori di mercato. La c.d. Carta di Nizza, inoltre, dotata ormai dello stesso valore giuridico dei Trattati, sancisce a sua volta il rispetto della vita privata e familiare, l’uguaglianza e il principio di non discriminazione, il diritto a sposarsi ed a costituire una famiglia, nelle sue varie forme [32]. Considerato il numero sempre maggiore di coppie composte da individui di cittadinanza diversa che conducono la loro vita familiare “a cavallo” di diverse parti d’Europa, le determinazioni contenute nei contratti di convivenza sono suscettibili di incidere in maniera significativa sulla libertà di circolazione, di prestare servizi e di stabilimento, e le implicazioni di diritto internazionale privato sono numerose. Tra l’altro, non solo i cittadini europei, ma anche i loro familiari sono dotati di importanti diritti, collegati all’assegnazione di un permesso di soggiorno o altri benefici ed è, dunque, di cruciale importanza comprendere chi possa essere considerato tale [33]. Anche altre organizzazioni internazionali, oltre l’Unione Europea, si sono interessate specificamente al tema dei contratti tra conviventi; la Raccomandazione n. 3 del 1988 sulla validità dei contratti tra conviventi e sulle disposizioni testamentarie, per esempio, emanata dal comitato interministeriale del Consiglio d’Europa, esprime il proprio favore verso tali forme di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coppie non matrimoniali [34]. I contratti di convivenza sembrano, quindi, prestarsi ad una [continua ..]
Il contesto sociale in cui si incardina l’analisi sui contratti di convivenza è un contesto sociale in costante mutamento, dove le unioni non-matrimoniali guadagnano sempre più popolarità[49]. Nel nostro sistema giuridico, come è noto, un contratto di convivenza ai sensi della legge n. 76/2016 può essere stipulato tra soggetti maggiorenni, dello stesso o di sesso diverso, non vincolati da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o unione civile, “uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e reciproca assistenza morale e materiale” [50]. Il contenuto del contratto, ai sensi del comma 53 dell’art. 1 della legge sulle unioni civili, può indicare la residenza, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune ed il regime patrimoniale della comunione legale; si ritiene, però, che l’elenco abbia natura meramente esemplificativa e che, nei limiti della patrimonialità, il contratto possa essere liberamente definito [51]. Rimane, quindi, preclusa la possibilità di stipulare con questo strumento accordi relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale, ed è invece dibattuta quella di regolare gli aspetti relativi alla cessazione del rapporto [52]. È senz’altro lecito anche prevedere un obbligo di mantenimento a favore del contraente più debole, oltre l’obbligo legale di prestare gli alimenti [53]. In generale, fintanto che si rimane nell’ambito patrimoniale, il contenuto degli accordi è libero, purché superi, come sempre, il vaglio di meritevolezza [54]. Si è discusso sulla natura del contratto di convivenza, quale atto negoziale di tipo familiare, o vero e proprio contratto [55]. Nonostante alcune previsioni, quali il divieto di apporre termini o condizioni, sulla falsariga dell’art. 108 c.c., o la possibilità di optare per il regime patrimoniale della comunione [56], l’ultima opzione sembra preferibile [57]. Proprio perché, quindi, altrimenti potrebbe sembrare eccessivamente restrittivo nei confronti dell’autonomia privata, il divieto di apporre termini e condizioni al contratto, legislativamente sancito al comma 56 della legge Cirinnà, è stato interpretato in quanto riferito al contratto nel suo complesso, e non alle sue singole [continua ..]
L’altra faccia della medaglia rispetto all’autonomia privata consiste nella tutela del soggetto vulnerabile nel rapporto di coppia. Come si è già messo in rilievo, spesso le parti non si trovano in una situazione (socio-economica o personale) paritaria, né hanno la medesima consapevolezza e padronanza della disciplina dei contratti di convivenza. Le situazioni di “fragilità” dei singoli vanno, quindi, tenute in considerazione e tutelate, in modo tale da realizzare gli effetti redistributivi cui si è fatto in precedenza riferimento. In Italia, il divieto di apporre termini o condizioni al contratto (art. 1, comma 56, l. 76/2016), cui si è già fatto riferimento, è un evidente limite all’autonomia privata, ma serve anche a scongiurare eventuali abusi a danno della parte debole. Difatti, si intende prevenire che uno dei conviventi venga vincolato all’unione pur di non perdere benefici o vantaggi patrimoniali, quindi “forzando” la prosecuzione della vita in comune, mediante il condizionamento di un’attribuzione patrimoniale alla durata del rapporto. La limitazione del contenuto del contratto ai profili patrimoniali persegue, in un certo senso, lo stesso obiettivo. Il divieto di apporre termini o condizioni, però, se inteso restrittivamente e riferito all’intero contratto, precluderebbe ai conviventi di disporre pienamente dei loro interessi patrimoniali, per esempio in considerazione della fine del rapporto. Inoltre, a differenza del matrimonio (art. 108 c.c.), quella del contratto di convivenza è una disciplina molto più libera, come attesta la facoltà di recedere liberamente dal vincolo. Non è quindi ammissibile un’interpretazione della norma volta ad ostacolare la libertà delle parti di sottoporre a condizioni o termini alcune clausole contrattuali, tanto più che nelle convenzioni matrimoniali, ex art. 210 c.c., l’apposizione degli elementi accidentali del contratto sopracitati è invece ammessa [96]. Utili a salvaguardare la parte vulnerabile sono anche le disposizioni che prevedono l’applicazione del dovere di solidarietà nei rapporti tra conviventi, come quella che impone la contribuzione ai bisogni comuni; nonché quelle relative alla forma del contratto, prescritta a pena di nullità. Alla lett. b), comma 53, art. 1, della [continua ..]
Il confronto svolto sui profili dell’autonomia privata e della vulnerabilità ci restituisce un quadro variegato, ma non eccessivamente difforme. Da un lato, l’ordinamento inglese garantisce maggiore libertà alle parti, e quindi il profilo dell’autonomia privata appare valorizzato, rispetto al contesto francese o italiano, in cui, invece, il controllo ordinamentale sulle regole della convivenza è più incisivo. Tutti e tre i Paesi europei, però, costruiscono gli accordi sulla vita comune come veri e propri contratti, che quindi, naturalmente, riguardano soprattutto i profili patrimoniali del rapporto di coppia. La libertà contrattuale e la tutela della vulnerabilità si affermano nella nostra materia in quanto principi sopraordinati, che costituiscono una sorta di minimo comun denominatore tra ordinamenti, ed assurgono quasi al rango di “interessi irrinunciabili condivisi”, suscettibili di essere bilanciati ed articolati in maniera diversa sulla base del contesto sociale e culturale di riferimento, ma comunque assicurati nel loro contenuto fondamentale [124]. Considerata questa evidente condivisione di principi e valori, sorge spontaneo domandarsi se vi sia spazio per un intervento armonizzatore dell’Unione Europea in questo campo. Il diritto privato europeo non può evidentemente del tutto disinteressarsi di una materia che incide così tanto sull’individuo e i suoi diritti di cittadino europeo, nonché, più ampiamente, sui rapporti patrimoniali tra consociati. La Corte di Giustizia è, infatti, gradualmente intervenuta in ambito di diritto di famiglia [125], lavorando soprattutto con il principio di non discriminazione e di uguaglianza [126]. La stessa legge Cirinnà, più volte citata, prende in considerazione l’ipotesi di una convivenza che si svolga in un luogo diverso da quello di origine dei contraenti, o tra conviventi di diversa cittadinanza [127]. A tal proposito, è stato sostenuto che il diritto di famiglia europeo dovrebbe nascere “dal basso”, attraverso l’opera dei giudici e la spontanea circolazione dei modelli giuridici, che avviene mediante il libero movimento dei cittadini stessi [128]. A ben guardare, è questo, forse, ciò che si sta verificando, adesso, in Europa; si pensi alla disciplina dei PACS, che sembra aver ispirato anche la [continua ..]
Per lungo tempo il diritto di famiglia è stato considerato un settore poco adatto alla comparazione giuridica. Questo assunto è, oggi, oggetto di ripensamento. È vero che i forti legami con le radici storiche, culturali e sociali di una nazione rendono particolarmente delicato effettuare “trapianti giuridici” in questa materia, che rischiano, piuttosto, di diventare “irritanti” giuridici,legal irritants. Tuttavia, l’idea per cui il principale obiettivo della comparazione giuridica sarebbe il “trasferimento” di regole giuridiche da un sistema all’altro solleva ormai diverse perplessità. Piuttosto, la funzione essenziale del diritto comparato è quella di comprendere meglio il proprio ordinamento giuridico, e lo studio del diritto di famiglia in prospettiva comparatistica può sicuramente servire a quest’intento. Esso può anche fungere da chiave di lettura di alcune scelte di politica del diritto (per esempio, la volontà di incoraggiare il ricorso al matrimonio potrebbe spiegare perché un certo ordinamento è più o meno aperto a riconoscere la duttilità dei contratti di convivenza). Inoltre, la comparazione è prodromica a qualsiasi progetto, più o meno ambizioso, di armonizzazione del diritto europeo [151]. Le regole sul diritto di famiglia sono essenziali nell’architettura dello stato sociale. Ancora, più, forse, che in altre aree del diritto, il diritto di famiglia richiede di essere considerato non soltanto in prospettiva “giuridica”, ma in rapporto alle altre scienze pratiche, quali l’economia, le scienze politiche, l’antropologia [152]. Occorre, dunque, aderire ad una metodologia non solo di diritto comparato, ma realmente interdisciplinare [153]. I contratti di convivenza, infine, consentono di riflettere su due idee che hanno subito un profondo cambiamento nel corso degli ultimi decenni. La prima è l’idea di famiglia; non più soltanto matrimoniale, la famiglia in Europa, oggi, consiste in modi diversi di vivere i propri rapporti affettivi, tra cui la convivenza [154]. Non più soltanto un centro di composizione degli interessi personali delle parti, la famiglia si afferma, e viene percepita, come soggetto di mercato e nucleo in cui si prendono accordi e si stipulano contratti [155]. La seconda è [continua ..]