Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il contratto «su misura». Self-driving contracts e diritto privato della sorveglianza (di Claudio Amato, Assegnista di ricerca in Diritto civile – Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro.)


Il presente contributo si occupa dell’impatto delle nuove tecnologie digitali, e in particolari di quelle algoritmiche, sul fenomeno contrattuale. In primo luogo, analizzando la figura del c. d. ‘smart’ contract, e tentando di dimostrare come essa non possa aspirare a fungere da paradigma generale, in quanto confliggente con i principi che stanno alla base della disciplina in materia. In secondo luogo, discutendo la categoria dei c. d. self-driving contract, quali figure di nuova emersione nel panorama scientifico ed economico internazionale, che, per funzionare, combinano insieme potere computazionale, big data e tecnologie di machine e deep learning. Questi ultimi sembrino sfuggire alle regole previste dal diritto europeo e nazionale, così come non appaiano riconducibili entro le gli schemi concettuali consegnatici dalla tradizione. Il lavoro si conclude, perciò, auspicando, da un lato, un intervento legislativo su scala inter- e trans-nazionale volto a regolamentare il fenomeno. Dall’altro, in attesa che questo intervento ci sia, invitando i giuristi a prendere coscienza della loro responsabilità non solo scientifica, quanto anche politica e sociale, e ad adoperarsi nella costruzione di un nuovo armamentario concettuale che renda possibile comprenderli e spiegarli, immaginando, sulla base del diritto vigente, possibili strumenti di tutela.

The tailored contract. Self-driving contract and Surveillanc private law

This essay deals with the impact of new digital technologies, and in particular algorithmic ones, on the contractual phenomenon. Firstly, analyzing the figure of c. d. 'smart' contract, and attempting to demonstrate how it cannot aspire to act as new general paradigm of contract law, as it conflicts with the principles underlying its discipline. Secondly, discussing the category of c. d. self-driving contracts, as newly emerging figures in the international scientific and economic panorama, which, in order to function, combine computational power, big data and machine and deep learning technologies. The latter seem to escape the rules established by European and national law, just as they do not appear explainable with the conceptual schemes handed down to us by tradition. The work concludes, therefore, hoping, on the one hand, for legislative intervention on an inter- and trans-national scale aimed at regulating the phenomenon. On the other hand, while waiting for this intervention to take place, inviting legal scholars to become aware of their responsibility, not only scientific, but also political and social, and to work towards the construction of a new conceptual armamentarium that makes it possible to understand and explain them, imagining, based on current law, possible protection remedies.

  

COMMENTO

Sommario:

1. Introduzione - 2. ‘‘Le città invisibili’’ e il non-contratto - 3. Fare leggi con algoritmi: le microdirettive - 4. Dal contratto dispotico al contratto distopico: i self-driving contracts - 5. Regole e rimedi al tempo del diritto privato della sorveglianza - 6. Conclusioni (Against an algorithmic view of Cathedral) - NOTE


1. Introduzione

Sembra uno di quei periodi in cui ci sono più domande che fatti [1]. Momenti di questo tipo non sono nuovi nella storia dell’uomo, tantomeno in quella del diritto. Il contratto, come fenomeno socio-linguistico, esiste da più di duemila anni. Ha superato crisi, si è ripreso dal suo – presunto – declino; è stato decostruito. Poi è arrivata l’epoca in cui gli articoli pubblicati sulle riviste giuridiche hanno assunto la forma delle orazioni funebri. Al che, alcuni giuristi con la passione per l’archeologia, presa coscienza della sua morte, hanno viaggiato per i cimiteri di tutto il mondo, per cercarne le spoglie e tributargli i dovuti onori [2]. Ma la ricerca non è andata a buon fine: il contratto è sopravvissuto alla sua stessa morte ed è rinato dalle sue ceneri, andando a vivere chissà dove. Poi qualcuno ne ha scoperto l’ubicazione: il contratto ha trovato dimora nella società dell’informazione [3]. Una società caratterizzata da un’economia basata sulla conoscenza, nella quale a dominare sono le grandi imprese capaci, mediante l’impiego di potenti infrastrutture digitali, di appropriarsene e di monetizzarla. Il contratto rappresenta uno degli strumenti giuridici – se non, allo stato attuale, il più importante tra di essi – per razionalizzare la società [4]. Le politiche comunitarie, in conformità ai principi dell’ordo-liberalismo, hanno puntato sul contratto al fine di costruire un mercato libero e concorrenziale. Oltreoceano, le dottrine neoliberali hanno proposto l’attuazione di politiche non troppo dissimili [5]. Dunque, il contratto quale istituto principe per la costruzione di una società aperta: non più e non solo meccanismo di allocazione di beni e servizi; ma anche di promozione-attuazione-espansione di diritti fondamentali [6]. Basti pensare ai contratti di social network, dove ogni giorno miliardi di esseri umani trascorrono il loro tempo, sviluppano relazioni, si informano e manifestano il loro pensiero su quanto accade nel mondo. Se il contratto possiede la capacità di fare tutto quanto ora abbiamo, velocemente, descritto, non dovremmo stupirci del fatto che, negli ultimi tempi, ad esso sia stata attribuita una sorta di «intelligenza» [7]. Un’intelligenza ad oggi non più metaforica, ma [continua ..]


2. ‘‘Le città invisibili’’ e il non-contratto

Facciamo un passo indietro, provando a ricostruirne la genealogia. Lungo l’ultimo trentennio, nel panorama giuridico globale si sono affermati due macro-modelli di contratto, che per semplificare potremmo denominare: modello europeo-continentale e modello anglo-americano [24]. Il modello europeo-continentale, continuando a semplificare, presenterebbe le seguenti caratteristiche: essenzialità di contenuto (e dunque apertura ad integrazioni legali); brevità del testo (limitato alle prestazioni fondamentali); ampio ruolo giocato dalle clausole generali – in particolare, da quella di buona fede – con riguardo alla determinazioni dei poteri e dei doveri gravanti sulle parti; esposizione all’intervento giudiziale (in caso di sopravvenienze, disequilibri, eventi imprevedibili che ne possano frustrare la realizzazione). All’opposto, il contratto di matrice anglo-americana: testi lunghi e dettagliati, per lasciare scarso spazio agli interventi esterni sul suo contenuto; peso quasi nullo giocato dalle clausole generali nella determinazione degli spazi di potere e di dovere entro i quali le parti sono chiamate a muoversi; regolamentazione analitica delle prestazioni; esposizione minima ai possibili interventi correttivo-modificativi giudiziali. Se si volesse individuare il valore che precipuamente i due modelli tendono ad assicurare, potremmo dire che il modello europeo-continentale è orientato a realizzare la giustizia del contratto; anche oltre e contro quanto voluto dalle parti. Il modello anglo-americano invece, sembra essere finalizzato a garantire la piena autonomia delle parti, anche là dove la garanzia di tutela accordata a questo valore possa essere fatta a danno di interessi altri delle stesse, magari emersi in corso di svolgimento della vicenda contrattuale. Ecco: lo smart contract rappresenta la versione «computerizzata» del modello anglo-americano [25]. Per averne una prova, basterà rivolgere uno sguardo alle caratteristiche peculiari che la dottrina suole ricollegare alla su riferita espressione. Lo smart contract – al di là dei tentativi di definizione legislativa che, con alterne fortune, alcuni stati nazionali hanno tentato di dare [26] – può essere definito come uno strumento, redatto in linguaggio formale, nel quale vengono inscritte le condotte dovute dalle parti cui il programma informatico sarà [continua ..]


3. Fare leggi con algoritmi: le microdirettive

Il rapporto tra nuove tecnologie e contratto può essere declinato diversamente. L’avvento di Internet, e la sua diffusione oltre il settore militare [48], ha rappresentato l’innovazione tecnologica più importante del­l’ultimo trentennio, arrivando a trasformare la vita di ciascun individuo ed incidendo anche sulle modalità in cui esso contratta. Oramai, i più preferiscono acquistare qualunque tipo di bene, da un abito al cibo ad un biglietto per andare a teatro, in negozi digitali; le relazioni tra le persone vengono ogni giorno di più mediate da un dispositivo elettronico: si tratti di una riunione di lavoro, di un colloquio di assunzione, di un appuntamento galante. Le persone, insomma, ‘navigano’ in questo oceano digitale, approfittando delle miriadi di forme di soddisfazione dei propri desideri che questo offre loro [49]. Vivere perennemente connessi ha i suoi costi. Ogni ricerca compiuta, ogni click, ogni ‘mi piace’, ogni ‘cuoricino’, ogni azione realizzata per il tramite di un dispositivo elettronico – sia esso un personal computer, un tablet, uno smartphone – lascia delle ‘tracce’. Dei dati. Dati che, una volta raccolti, vengono analizzati da team di ingegneri informatici, mediante l’impiego di complessi sistemi di ‘intelligenza’ artificiale. Il risultato di questa analisi può essere rivolto a produrre una ‘personalizzazione’ delle prestazioni offerte agli utenti [50]. Per ciascun utente, una prestazione, la cui esecuzione, essendo l’operazione mediata dall’utilizzo di un dispositivo elettronico, può essere continuamente monitorata. Di talché, ove mai capitasse qualcosa, interna o esterna alla vicenda contrattuale, capace di metterne a repentaglio l’esito, venga data alle parti la possibilità di intervenire, modificando o correggendo i propri comportamenti, adeguandoli al mutato contesto. Il possesso dei dati sulle condotte degli individui, anzi, oltre che segnalare i rischi che potrebbero perturbare le loro attività, potrebbe arrivare a ‘guidare’ quelle stesse attività, orientandole in un verso invece che un altro. Nulla di sconvolgente: è in questo modo che le grandi multinazionali digitali – Facebook/Meta, Google/Alphabet, Amazon – operano [51]. Offrendo servizi e beni in [continua ..]


4. Dal contratto dispotico al contratto distopico: i self-driving contracts

Anche il contratto può beneficiare dei vantaggi connessi all’utilizzo delle micro-direttive [64]. Lungo la sua storia, e soprattutto negli ultimi decenni, il contratto ha già avuto modo di interfacciarsi con le tecnologie algoritmiche, anche con quelle incorporanti sistemi di ‘intelligenza’ artificiale [65]. Lo smart contract stesso va ad individuare un’ipotesi di contratto c. d. algoritmico [66]. Così come ‘algoritmici’ possono essere definiti i contratti stipulati tra computer, o tra computer ed esseri umani, nonché, per venire a tempi più recenti, i contratti dell’Internet of things, che dei primi rappresentano oggi la versione più sofisticata [67]. Algoritmici sono i contratti degli scambi finanziari di borsa, che si formano mediante la combinazione di dichiarazioni algoritmiche; algoritmici sono, i contratti stipulati via internet per l’acquisto di un biglietto aereo. In tutte le ipotesi da noi ora elencate, sebbene ciascuna con la sua particolarità, la struttura del contratto, se non di una delle parti contraenti, è un algoritmo [68]. Nel caso dei self-driving contracts, lo scenario muta considerevolmente. In questi ultimi infatti, l’al­go­rit­mo non va ad individuare il ‘testo’ del contratto – come nel caso degli smart contracts –, né tantomeno la controparte con cui va ad interfacciarsi la parte contraente, ‘umana’, come nei contratti IoT; robotica, come nei contratti di borsa. Nei self-driving contracts, l’algoritmo, incorporante un sistema di ‘intelligenza’ artificiale [69], si presenta come una sorta di assistente digitale che coadiuva la parte nella contrattazione. Un assistente che suggerisce alla parte se contrarre, con chi contrarre, su cosa contrarre, e in quali forme. I benefici che l’adozione di tale procedura assicura sono innanzi tutto di tipo economico: se si guarda alla stipula del contratto come ad una sorta di compromesso tra completezza/incompletezza del contenuto, costi di negoziazione e raccolta di informazioni, l’impiego delle micro-direttive sarebbe in grado di eliminare i costi connesse a tali attività [70]. Le parti dovrebbero accordarsi infatti esclusivamente sul risultato che hanno interesse a conseguire e sulla divisione [continua ..]


5. Regole e rimedi al tempo del diritto privato della sorveglianza

Questa lettura ‘interventista’ nei confronti del fenomeno su descritto non vanta molti sostenitori. Nel dibattito scientifico contemporaneo, non solo italiano, a prevalere è infatti un approccio di tipo minimalista [97]. Qualche intervento micro-settoriale qua; qualche interpolazione là; l’opportunità di una qualche ri-concettualizzazione della materia: certo non un intervento regolativo di ampia portata; nessuna nuova teoria generale del contratto. Bastano le regole esistenti; la loro applicazione alle nuove tipologie di contratti necessiterà di qualche adattamento, magari di qualche forzatura: ma nulla che non sia riconducibile alla legislazione vigente; niente che non sia spiegabile secondo concetti e logiche tradizionali [98]. I rimedi giuridici, almeno sulla carta, ci sarebbero [99]. Il punto è se essi siano utilizzabili nei confronti di contratti che, totalmente o parzialmente, sono impermeabili ad essi. Qui, si vuole essere chiari su questo punto, ad essere in gioco non è questa o quella disfunzione contrattuale, o una qualche alterazione dell’equilibrio concorrenziale: agli appetiti predatori delle Corporation digitali porrà un freno il diritto antitrust; anche il self-driving contract deve rispettare i requisiti di legge perché possa risultare giuridicamente vincolante: le sue clausole non possono essere vessatorie, né i suoi contenuti discriminatori (e se lo sono, l’algoritmo li riformula e sostituisce in accordo alla natura dell’affare e agli interessi delle parti). Tutto corretto. Ma fermandosi a questo livello di analisi, si perde di vista il cuore del problema. È chiaro che un contratto cucito su misura delle parti, perché possa essere tale, ha bisogno di conoscere tutto degli individui le cui condotte e interessi andrà a regolare [100]. Senza dati, senza informazioni su tutto ciò che una persona ha detto e fatto, anche in un lontanissimo passato, per quanto un algoritmo possa essere potente e ben allenato, costruire il miglior contratto possibile sarebbe estremamente difficile. I dati sono i nostri, ma chi li controlla e li sfrutta a fini economici, chi ha gli strumenti per costruire gli algoritmi in grado di farli funzionare quali strumenti di modifica del comportamento, sono le grandi Corporation digitali, per il tramite dei loro team di ingegneri [continua ..]


6. Conclusioni (Against an algorithmic view of Cathedral)

La finalità che ha animato la redazione del presente contributo è stata quella di identificare e definire le tattiche della sorveglianza, descriverne le modalità operative, e di mettere in evidenza le possibili ricadute in ambito contrattuale. Dall’analisi svolta, è emerso come le forme di manifestazione di questo potere possono essere così suddivise: raccolta di dati; loro raffinamento a fini di manipolazione del comportamento; vendita a soggetti terzi dei risultati ottenuti mediante tale manipolazione. Queste pratiche, di cui siamo i destinatari inconsapevoli, si sono istituzionalizzate. La sorveglianza è ovunque, senza che ciò abbia provocato la minima reazione né alcuna forma di resistenza. La ragione va ricercata nella forma di manifestazione di questo potere [135]. Se fosse stato un organismo pubblico a chiederci di registrare i nostri dati in cambio di servizi, la diffusione della cultura della sorveglianza avrebbe incontrato qualche ostacolo. Basti pensare alle resistenze che, al tempo della Pandemia, i cittadini hanno manifestato nei riguardi dell’app di tracciamento ‘Immuni’, nonostante le finalità positive che, mediante il suo utilizzo, si volevano perseguire. Nessuno vuole che il potere pubblico entri, con i propri comandi e i propri divieti, nella sua vita privata. Diverso è quando quella condivisione di informazioni viene offerta spontaneamente dal singolo. Nessuna resistenza quando servizi analoghi vengono offerti, gratuitamente, dai soggetti privati. Nessuna ritrosia ad utilizzare le applicazioni preinstallate sui nostri smartphone. Nessun senso di costrizione quando ci viene detto che se non acconsentiamo ad alcuni termini e condizioni, al dispositivo verrà, da remoto, impedito di funzionare. Lo scambio ci sembra logico: tu mi consenti di navigare in rete, di scambiare messaggi, di inviare foto e video, di raggiungere posti di cui non mi è ben chiara l’ubicazione, ed io ti permetto di entrare nel mio telefono, di conoscere i miei numeri in rubrica, la mia posizione, i miei dati personali. Nessuna percezione di sentirsi controllati. Quando ognuno è contemporaneamente soggetto osservatore e soggetto osservato, il controllo ‘esterno’ non serve. Siamo diventati il ‘Grande fratello’ di noi stessi [136]. Ordinarci o vietarci di, rispettivamente, fare o non fare qualcosa sarebbe [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024