Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Accordi e disaccordi sulla buona fede oggettiva (di Luca Nanni, Professore ordinario di Diritto privato – Università degli Studi di Genova.)


Il dovere di buona fede contrattuale ha avuto nel corso del tempo un andamento non lineare. Prima ignorata dalla giurisprudenza, in seguito è divenuta uno strumento fondamentale per integrare il contratto e per regolare l'esercizio dei poteri attribuiti alle parti del contratto. Anche di recente il confronto fra una decisione della Suprema Corte di Cassazione e una decisione della Corte Costituzionale italiana rendono evidente che di fronte a casi diversi per materia, ma simili per quanto concerne il ragionamento giuridico da porre a base della decisione, si possono registrare approcci più o meno convincenti.

Agreements and disagreements on the good faith clause in contracts

The contractual duty of good faith has had a non-linear trend over time. First ignored by jurisprudence, it later became a fundamental tool for integrating the contract and regulating the exercise of the powers attributed to the parties to the contract. Even recently, the comparison between a decision of the Supreme Court of Cassation and a decision of the Italian Constitutional Court makes it clear that when faced with cases that are different in subject matter, but similar in terms of the legal reasoning to be used as the basis of the decision, approaches can be more or less convincing.

  

COMMENTO

Sommario:

1. L’iniziale atteggiamento di chiusura verso l’utilizzo della clausola generale di buona fede - 2. La successiva affermazione del ruolo centrale della buona fede nella disciplina del contratto - 3. Dal consenso generalizzato al dubbio manifestato su alcune applicazioni - 4. Gli spunti offerti da una sentenza della Corte di Costituzionale - NOTE


1. L’iniziale atteggiamento di chiusura verso l’utilizzo della clausola generale di buona fede

È noto che al dovere posto dall’art. 1375 c.c., di eseguire il contratto secondo buona fede, inizialmente la giurisprudenza e parte della dottrina hanno dato scarsa importanza, soprattutto negando che la buona fede contrattuale possa costituire una fonte di integrazione del contratto. Indicativa di questo atteggiamento è la massima espressa da una delle prime sentenze di legittimità chiamata ad applicare questa norma, nel 1963 [1]: «il dovere generico di lealtà e correttezza … può costituire solo un criterio di valutazione e di qualificazione di un comportamento. Detto dovere non vale a creare, per se stesso, un diritto soggettivo … quando tale diritto non sia riconosciuto da un’espressa disposizione di legge. Pertanto, un comportamento contrario ai doveri di lealtà, di correttezza e di solidarietà non può essere reputato illegittimo e colposo, né può essere fonte di responsabilità per danni quando non concreti la violazione di un diritto altrui già riconosciuto in base ad altre norme». Mentre, nella dottrina, era diffusa l’idea che il dovere in parola, e quello analogo di correttezza previsto dall’art. 1175 c.c., non avessero un rilievo normativo autonomo [2]. Nell’indicare le cause di questo atteggiamento, innanzi tutto è stato valorizzato il dato positivo ed in particolare la scelta di inserire il dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede in un articolo del codice civile, il 1375, che sebbene collocato immediatamente dopo, è comunque autonomo rispetto all’articolo 1374, dedicato all’integrazione del contratto. Ciò ha indotto a pensare che il dovere di buona fede, intervenendo nella fase di esecuzione, non contribuisca alla determinazione del regolamento contrattuale, che logicamente precede l’esecuzione [3]. Inoltre, hanno avuto certamente un peso anche la diffidenza verso l’uso delle clausole generali, difficilmente prevedibili quanto alla loro applicazione nei casi concreti, ed il timore che, inserendo, nel regolamento contrattuale doveri e divieti non previsti dalle parti, sarebbe risultata lesa la loro autonomia contrattuale, in un contesto, soprattutto giurisprudenziale, ancora permeato dal dogma della volontà e che vedeva perciò come del tutto eccezionale un intervento che potesse integrare il contenuto del [continua ..]


2. La successiva affermazione del ruolo centrale della buona fede nella disciplina del contratto

Grazie all’opera di Rodotà e alla consapevolezza assunta dai giudici sul loro ruolo nel governo dell’autonomia privata, oggi la situazione può dirsi capovolta, in quanto si assiste ad un uso ampissimo della buona fede, al punto che fra gli interpreti si è fatta strada l’esigenza opposta, di contenere il ricorso alla clausola generale qui in esame nei giusti limiti, com’è stato dimostrato dai commenti a sentenze delle quali si dirà nel successivo paragrafo, che hanno suscitato più critiche che consensi. Che ciò dipenda anche dalla maggiore consapevolezza del ruolo assunto dal giudice può ricavarsi da una constatazione: spesso è il giudice più autorevole, quello di legittimità, a dimostrare maggiore apertura verso l’utilizzo della clausola generale di buona fede, come è dimostrato da vicende giudiziarie (delle quali si dirà in seguito), dove l’istanza fondata sulla buona fede contrattuale, rigettata in primo e in secondo grado, è stata poi accolta dalla Corte di Cassazione. Ed emblematica, rispetto a questo ruolo di guida assunto dai giudici di legittimità verso una maggiore apertura nei confronti della buona fede oggettiva, è l’inusuale critica rivolta da una sentenza del Supremo Collegio [6] alla Corte territoriale, per avere deciso a favore di un assicuratore una vicenda nella quale l’assicurato lamentava l’omessa informazione sugli elevati costi di gestione delle polizze che aveva sottoscritto nel 2000, sentendosi rispondere dall’assicuratore che tale informazione non rientrava fra quelle che secondo la normativa applicabile egli era tenuto a fornire. Nella motivazione della sentenza, addirittura la Corte di Cassazione ricorda al giudice di merito l’esistenza del codice civile: «all’epoca della stipula delle polizze oggetto del presente giudizio era in vigore, da 58 anni, il codice civile. Il codice civile contiene gli articoli 1175, 1176, 1337 e 1375 c.c. Queste norme, ovviamente già nel 2000, imponevano all’assicuratore prima della stipula del contratto: – di informare il contraente sui costi e sulla redditività della polizza; – di fornire informazioni esaustive; – di fornire informazioni utili; – di fornire informazioni chiare». Va precisato però che l’ampio utilizzo odierno della buona fede [continua ..]


3. Dal consenso generalizzato al dubbio manifestato su alcune applicazioni

Pur in un contesto di generale condivisione verso un utilizzo della clausola generale di buona fede adeguato alla sua importanza ed utilità, non sono mancati però dei casi nei quali sono stati manifestati seri dubbi, ispirati fondamentalmente dall’esigenza di individuare non solo le potenzialità applicative, ma pure i limiti alla sua operatività. La nota sentenza della Corte di Cassazione sull’abuso del diritto nel caso Renault [15] costituisce forse il caso più dibattuto [16]. La vicenda è nota [17]: Renault Italia esercitò nei confronti di numerosi concessionari il diritto, a lei spettante in base ai contratti di concessione di vendita, di recesso ad nutum da tali contratti. Emerse che la sua decisione non era motivata da insoddisfazione sull’operato dei concessionari, bensì dalla scelta strategica di favorire l’uscita di numerosi dirigenti, per ragioni di contenimento dei costi fissi, con l’incentivo a loro dato dalla promessa di affidamento di una concessionaria. I destinatari del recesso si coalizzarono in un’associazione e promossero il giudizio nel quale lamentarono l’abuso del diritto di recesso da parte di Renault Italia. Come già nel caso Fiuggi, la domanda fu rigettata dai giudici di merito; questa volta, però, non sulla base del pregiudizio manifestato dalla giurisprudenza nei primi anni successivi al codice civile, bensì con argomenti che effettivamente mettono l’interprete di fronte al problema concreto della individuazione dei limiti entro i quali la buona fede può operare. In particolare, la Corte d’Appello [18] aveva formulato, fra le altre, queste obiezioni: «… 2) la previsione contrattuale del recesso ad nutum dal contratto non consente, quindi, da parte del giudice, il sindacato su tale atto, non essendo necessario alcun controllo causale circa l’esercizio del potere, perchè un tale potere rientra nella libertà di scelta dell’operatore economico in un libero mercato; 3) La Renault Italia non doveva tenere conto anche dell’interesse della controparte o di interessi diversi da quello che essa aveva alla risoluzione del rapporto … 7) “Il mercato, concepito quale luogo della libertà di iniziativa economica (garantita dalla Costituzione), presuppone l’esistenza di soggetti [continua ..]


4. Gli spunti offerti da una sentenza della Corte di Costituzionale

Sebbene con riguardo ad un caso e ad uno scenario normativo ben diverso, la valutazione della condotta di chi improvvisamente pretende il pagamento di un credito, sorprendendo la buona fede del debitore, è stata successivamente compiuta da una sentenza della Corte Costituzionale [25], nel giudizio di legittimità dell’art. 2033 c.c., «nella parte in cui non prevede l’irripetibilità dell’indebito previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione, nel caso di specie) laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato un legittimo affidamento del percettore circa la spettanza della somma percepita». Nella motivazione viene ripercorsa la giurisprudenza della Corte EDU che, «nell’ambito della ripetizione di indebiti retributivi e previdenziali erogati da soggetti pubblici, ha dato corpo all’interpretazione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, invocato dalle ordinanze in esame quale parametro interposto, vòlto a specificare la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.». Si tratta della disposizione convenzionale secondo cui «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni». Riferisce la sentenza che, facendone applicazione, «la Corte EDU ha ricondotto alla nozione di bene da tutelare anche la tutela dell’affidamento legittimo (“legitimate expectation”), situazione soggettiva dai contorni più netti di una semplice speranza o aspettativa di mero fatto (“hope”). In particolare, in una pluralità di casi … concernenti indebiti retributivi e previdenziali erogati da soggetti pubblici, la Corte EDU ha specificato i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo al percettore della prestazione, che sia persona fisica, e ha individuato le condizioni che tramutano la condictio indebiti in un’interferenza sproporzionata nei confronti di tale affidamento. La Corte EDU ha individuato quali elementi costitutivi dell’affidamento legittimo: l’erogazione di una prestazione a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisca in buona fede o su spontanea iniziativa delle autorità; la provenienza dell’attribuzione da parte di un ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all’esito di un [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024