Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Post abusività: il punto sulla giurisprudenza europea (nota a Corte di Giustizia, 12 gennaio 2023, causa C-395/21) (di Chiara Sartoris, Assegnista di ricerca – Università degli Studi di Firenze)


Il saggio muove da una recente pronuncia della Corte di Giustizia in tema di contratto di prestazione di servizi legali per riflettere sul problema della clausola abusiva c.d. essenziale nei rapporti B2C. Una volta ripercorsa l'evoluzione della giurisprudenza europea degli ultimi anni, l'attenzione viene soffermata sulla opportunità della integrazione del contratto al fine di garantire che il rimedio caducatorio operi in modo effettivo, dissuasivo e proporzionale. Di tale integrazione, che può essere frutto anche di una negoziazione tra le parti, vengono chiariti presupposti e limiti allo scopo di offrire all'interprete validi criteri e principi di rifermento.

Consequences of Unfair Terms: the State of Art of the European case-law (remarks at European Court of Justice, 12 January 2023, C-395/21)

The essay analises a recent ruling of the Court of Justice concerning contracts for the provision of legal services in order to reflect on the problem of core unfair clause in B2C relationships. After having examined the evolution of the recent European case-law, the attention is focused on the opportunity of integrating contract with the aim to guarantee that the remedy operates in an effective, dissuasive and proportional manner. The assumptions and limits of this integration, which can also be the result of a negotiation between parties, are clarified with the purpose to offer the interpreter valid reference criteria and principles.

1) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, deve essere interpretato nel senso che:

rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo dei servizi forniti secondo il principio della tariffa oraria.

2) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83, deve essere interpretato nel senso che:

non soddisfa l’obbligo di formulazione chiara e comprensibile, ai sensi di tale disposizione, la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo di tali servizi secondo il principio della tariffa oraria senza che siano comunicate al consumatore, prima della conclusione del contratto, informazioni che gli consentano di prendere la sua decisione con prudenza e piena cognizione delle conseguenze economiche derivanti dalla conclusione di tale contratto.

3) L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83, deve essere interpretato nel senso che:

la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi, secondo il principio della tariffa oraria, il prezzo di tali servizi e che rientri, pertanto, nell’oggetto principale di detto contratto, non deve essere considerata abusiva per il solo fatto che non soddisfa l’obbligo di trasparenza di cui all’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva, come modificata, a meno che lo Stato membro il cui diritto nazionale si applica al contratto di cui trattasi abbia espressamente previsto, conformemente all’articolo 8 di detta direttiva, come modificata, che la qualificazione come clausola abusiva discenda da questo solo fatto.

4) L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83, devono essere interpretati nel senso che:

qualora un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore non possa sussistere dopo la soppressione di una clausola dichiarata abusiva che fissi il prezzo dei servizi secondo il principio della tariffa oraria, e tali servizi siano già stati forniti, essi non ostano a che [continua..]

SOMMARIO:

1. La sentenza della Corte di Giustizia del 12 gennaio 2023: il problema della clausola abusiva essenziale - 2. Gli effetti dell’accertamento della clausola abusiva essenziale: l’evoluzione della giurisprudenza europea - 3. Gli scenari emergenti e le loro criticità - 4. Effettività e graduazione della tutela - NOTE


1. La sentenza della Corte di Giustizia del 12 gennaio 2023: il problema della clausola abusiva essenziale

La recente sentenza della Corte di Giustizia del 12 gennaio 2023 offre l’occasione di riflettere su alcune rilevanti questioni interpretative in materia di clausole abusive nei contratti B2C [1]. In particolare, concentrerò l’attenzione sui poteri del giudice in caso di disapplicazione di una clausola abusiva essenziale. Trattasi di questione di cruciale importanza. Poiché, secondo l’impostazione della giurisprudenza europea, il giudice nazionale deve valutare che il rimedio sia effettivo, dissuasivo e proporzionato, tale verifica richiede di interrogarsi non solo sulla configurazione dello specifico rimedio caducatorio, ma anche sulle conseguenze della sua operatività [2]. Anticipo subito che il destino di un contratto tra professionista e consumatore recante una clausola abusiva essenziale è segnato da un’alternativa netta: o va incontro a caducazione totale o il consumatore rimane vincolato a una clausola che lo svantaggia ingiustamente pur di non subire i rischi connessi alla caducazione totale del contratto (le restituzioni). Come si vedrà, la questione interpretativa si pone in quanto l’art. 6 direttiva 93/13/CEE non fornisce alcuna indicazione al riguardo, limitandosi a riconoscere al giudice il potere di disapplicare la clausola abusiva. Da qui la necessità di una riflessione in ordine all’effettività della tutela offerta al consumatore in questo specifico caso. Una possibile risposta al problema è oggi offerta dai principi interpretativi enunciati dalla CG che, a partire dal noto caso Kasler del 2014, ha iniziato a superare il suo approccio interpretativo tradizionale, tendenzialmente restrittivo rispetto ai poteri del giudice, in favore di una soluzione che non esclude radicalmente limitate forme di modifica post abusività del contratto [3]. Al fine di impostare proficuamente la riflessione tratteggiata, muovo subito dai termini essenziali della vicenda sottoposta all’esame della Corte di Giustizia, la quale, differentemente dalla maggior parte delle pronunce in materia, non attiene ai contratti di mutuo (magari in valuta estera), ma riguarda un contratto di prestazione di servizi legali. Più precisamente le parti, un avvocato e il suo cliente, avevano stipulato cinque contratti di prestazione di servizi legali a titolo oneroso nel periodo aprile-agosto 2018. Gli onorari del professionista erano fissati secondo il [continua ..]


2. Gli effetti dell’accertamento della clausola abusiva essenziale: l’evoluzione della giurisprudenza europea

La sentenza testé descritta rappresenta un’ulteriore tappa della evoluzione a cui è andata incontro la giurisprudenza europea nell’affrontare il problema degli effetti dell’accertamento della clausola abusiva essenziale. In via preliminare, occorre ricordare che tale problema interpretativo non ha ricevuto immediata attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, entrambe concentrate, in una prima fase, a comprendere l’esatta portata del potere del giudice di accertare officiosamente l’abusività della clausola. A riguardo, la Corte di Giustizia è stata chiara sin da subito nel concepire siffatto potere giudiziale in termini piuttosto estensivi, ravvisando nell’intervento di un soggetto terzo sul contratto uno strumento necessario per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale del consumatore e, conseguentemente, livelli ottimali di concorrenzialità sul mercato comune [6]. Tanto da qualificare tale intervento non come semplice facoltà, ma come vero e proprio obbligo, da esercitare in ogni fase a grado del giudizio [7]. Tutto al contrario, con riguardo al post abusività, le prime pronunce della Corte di Giustizia, risalenti a una decina di anni fa, hanno sempre mirato a circoscrivere il più possibile qualsivoglia forma di intervento diretto del giudice sul contratto [8]. L’apparente paradosso di due letture così diverse tra loro rispetto al problema della tutela contro le clausole abusive si spiega alla luce di un dato. La descritta impostazione trovava fondamento in una interpretazione rigidamente letterale dell’art. 6 della direttiva 93/13/CEE, che, come già detto, attribuisce ai giudici il solo potere di accertare l’abusività di una clausola e di disapplicarla affinché non vincoli il consumatore, a condizione che il contratto possa esistere senza di essa. In questa prospettiva, allora, il divieto di modificare il contratto in tanto trova giustificazione in quanto mira a evitare la violazione dell’obiettivo di lungo termine sancito dall’art. 7 della direttiva: ci si riferisce all’«effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione, nei confronti del consumatore, di siffatte clausole». L’idea è che se il giudice potesse rivedere il contenuto del contratto così da evitarne la [continua ..]


3. Gli scenari emergenti e le loro criticità

I principi interpretativi sin qui richiamati costituiscono ormai un patrimonio consolidato della giurisprudenza europea in materia di clausole abusive. Rimangono ancora, però, alcune rilevanti questioni aperte che stanno continuando a impegnare la Corte di Giustizia. In tempi recenti quest’ultima si è trovata più volte a riflettere su quale sia la sorte del contratto nei casi in cui non sia possibile procedere alla integrazione legale per mancanza di una disposizione suppletiva di diritto nazionale da inserire nel contratto. Si tratta di stabilire se vi siano – e quali siano – ulteriori tecniche idonee a consentire la conservazione del contratto al fine di scongiurare l’esito pregiudizievole della nullità totale. Come conferma la decisione oggetto del presente commento, la Corte di Giustizia è tutt’oggi ferma nel­l’escludere il potere del giudice di “creare” egli stesso la regola idonea a integrare il contratto sulla base di una propria valutazione equitativa. Viene così ribadita, con fermezza, la sussistenza di un limite invalicabile per le operazioni di modifica contrattuale, giustificato alla luce della considerazione secondo cui una integrazione giudiziale sarebbe in palese contrasto con il principio di dissuasività di cui all’art. 7 della direttiva [14]. Tale affermazione, tuttavia, non sembra precludere un’ulteriore strada interpretativa che, sia pure in maniera ancora embrionale, emerge sempre più spesso nelle decisioni della Corte. Si tratta di vagliare la possibilità che in mancanza in senso assoluto di una norma suppletiva di diritto nazionale ovvero in presenza di una norma suppletiva di diritto nazionale che, però, non assicuri un adeguato standard di protezione per il consumatore il giudice rimetta ai contraenti stessi la determinazione della clausola espunta dal contratto. Come è stato condivisibilmente osservato dalla Corte, se il giudice nazionale è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie per tutelare il consumatore contro le conseguenze particolarmente dannose derivanti dalla caducazione di una clausola abusiva essenziale, allora, ben potrebbe rientrare tra queste misure anche il promuovere la elaborazione di una regola pattizia. Su cosa debba intendersi per regola pattizia e come questa possa operare il dibattito è ancora aperto e non privo di profili di [continua ..]


4. Effettività e graduazione della tutela

Questione logicamente consecutiva rispetto all’emergere di una pluralità di strumenti di modificazione del contratto è quella relativa al modus operandi del giudice. Più precisamente, occorre chiedersi come si rapportino tra loro le varie tecniche di revisione contrattuale ammesse dalla Corte di Giustizia. Il che equivale a chiedersi quale sia l’estensione dei poteri del giudice nei contratti B2C in sede di post abusività. Dall’analisi della giurisprudenza europea è possibile trarre una indicazione di ordine sistematico. Le molteplici tecniche di modificazione del contratto in sede di post abusività rimandano l’immagine di un sistema gerarchizzato che si fonda su due direttrici fondamentali. Si tratta di un sistema: (a) funzionale ad assicurare il più possibile la conservazione del contratto con finalità di riequilibrio delle posizioni contrattuali delle parti, allo scopo di evitare l’esito controfuzionale di una nullità totale; (b) ispirato a un principio di minima intrusione possibile del giudice nel regolamento contrattuale, al fine di non frustrare l’effetto dissuasivo da riconnettere al rimedio caducatorio, garantendo, nel contempo, la sua effettività. Ebbene, l’immagine che questo sistema restituisce è quella di una tutela a geometrie variabili, la cui cifra caratteristica è proprio la graduazione dei suoi effetti in funzione della massima protezione dell’interesse del consumatore. Siffatto sistema di graduazione degli effetti dell’accertamento dell’abusività si articola secondo una logica specifica. Dalla giurisprudenza europea, invero, è dato trarre un insieme di criteri gerarchicamente ordinati e ispirati ai predetti principi. Nei casi più semplici, cioè quando la clausola abusiva non sia essenziale per il significato dell’operazione economica, l’obiettivo di un eforcement effettivo e dissuasivo della disciplina consumeristica può essere agevolmente raggiunto attraverso l’applicazione della lettera dell’art. 6, comma 1, della direttiva. La soluzione fisiologica, in altri termini, consiste nella mera disapplicazione della clausola abusiva affinché essa non produca effetti vincolanti per il consumatore. Per tale via, il contratto, depurato di quella pattuizione, può continuare a esistere e a consentire al consumatore di conseguire [continua ..]


NOTE