Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il diritto alla cura degli anziani tra vulnerabilità, logiche di mercato e brevettabilità della salute: la necessità di un ripensamento della proprietà intellettuale in chiave sostenibile (di Francesca Rotolo, Dottoranda – Università Cà Foscari Venezia)


Alla luce dei due diversi – ma strettamente connessi – fenomeni della digitalizzazione della medicina e dell’espansione delle logiche di mercato (anche) al settore della salute, vi sono intere fasce della popolazione, come ad esempio le persone di età avanzata, che incontrano sempre più difficoltà ad esercitare il proprio diritto di accesso alle cure garantito da numerose carte internazionali. Parte del problema è individuato da taluni nel complessivo impianto della proprietà intellettuale (IP), intesa come insieme di normative preposte ad incentivare una ricerca scientifica volta più al soddisfacimento di logiche estreme di profitto, che alla produzione della conoscenza pura. Il framework dell’IP, in particolare, nell’apparente intento di promuovere l’innovazione, sarebbe di fatto strumentalizzato al fine di promuovere gli interessi delle imprese private che detengono una posizione di forza del c.d. “mercato della salute” (big pharma), a scapito dei cittadini e a detrimento dei sistemi sanitari pubblici che si trovano a farsi carico delle spese legate alla fornitura di farmaci e servizi essenziali oggetto di numerose privative.

Il presente contributo tenta, innanzitutto, di dar prova dell’esistenza di un filo conduttore che lega i diversi lembi di tale sistema: il “mercato” della salute, al cui presidio sarebbe preposto il complesso dei diritti di esclusiva delineato dal quadro normativo della proprietà intellettuale, determina l’applicazione all’ambito della ricerca di logiche di profitto, le quali impattano sulla capacità dell’apparato pubblico statale di fornire ai cittadini i servizi sanitari essenziali in modo egalitario, che si traduce infine in una difficoltà di accesso alle cure da parte dell’intera collettività e (soprattutto) degli anziani. In secondo luogo, esso cerca di confutare l’assunto che un sistema così strutturato sia davvero in linea con la funzione a cui la proprietà intellettuale sarebbe preposta. Quale che sia la teoria di giustificazione della stessa che si ritiene di voler sposare, un quadro normativo che nel complesso si traduce in una compressione di diritti fondamentali come il diritto alla salute, alla non discriminazione e alla scienza aperta, non trova riscontro in alcuna delle ragioni e degli obiettivi posti alla base delle argomentazioni rispettivamente addotte dalle stesse. Pertanto, si caldeggerà la necessità di una riconsiderazione della proprietà intellettuale in chiave sostenibile. Infine, il contributo si domanda se vi sia spazio, in un framework normativo della proprietà intellettuale così concepito, per immaginare una categoria di soggetti, come gli anziani, cui attribuire un particolare status giuridico in ragione della loro condizione di vulnerabilità.

The Elderly's Right to Care Amid Vulnerability, Market Dynamics, and the Issue of Patentability of Pharmaceuticals in the Health Sector: The Necessity to Reimagine Intellectual Property in a Sustainable Way

In light of two distinct yet closely interconnected phenomena – the digitization of healthcare and the expansion of market-driven approaches into the healthcare sector – numerous segments of the population, such as the elderly, are increasingly encountering obstacles in exercising their right to access healthcare, as guaranteed by numerous international conventions. Part of the issue is identified by some within the overarching framework of Intellectual Property Law (IP Law), conceived as a set of regulations designed to incentivize scientific research primarily geared towards extreme profit motives rather than the pursuit of pure knowledge. The IP framework, notwithstanding its apparent intent to foster innovation, is often in fact instrumentalized to advance the interests of private enterprises holding a dominant position in the so-called “healthcare market”, to the detriment of citizens and public healthcare systems that are burdened with the costs of providing medicines and essential services subject to numerous restrictions.

This contribution seeks, firstly, to demonstrate the existence of a common thread that connects various facets of this system: the “healthcare market”, overseen by the exclusive rights outlined in the intellectual property regulatory framework, drives research towards profit-oriented motives. These motives impact the ability of the State’s public apparatus to offer essential healthcare services to citizens equitably, ultimately resulting in difficulties in healthcare access for the entire community, and particularly the elderly. Secondly, the contribution endeavors to challenge the assumption that such a structured system aligns with the intended function of intellectual property. Regardless of the justification theory one wishes to adopt, a regulatory framework that, overall, translates into a compression of fundamental rights like the right to health, non-discrimination, and open science does not find its root in any of the reasons and objectives underlying the arguments put forth by these theories. Therefore, the essay strongly advocates the need for a reconsideration of intellectual property from a sustainability perspective. Finally, it raises the question of whether there is room, within such a normative framework of intellectual property, to envision a category of subjects, such as the elderly, to whom a particular legal status should be attributed due to their vulnerability.

SOMMARIO:

1. Cenni introduttivi - 2. Il diritto alla salute. – 2.1. Nuovi problemi di accesso alle tecnologie e tradizionali problemi di accesso alle cure - 2.2. Le logiche di profitto nel “mercato” della salute - 3. Brevettare la salute… – 3.1. Gli argomenti a sostegno della proprietà intellettuale e la tragedia degli anticommons - 3.2. Verso una proprietà intellettuale sostenibile - 3.3. Le politiche “a monte” e “a valle” - 4. …nell’epoca di una popolazione che invecchia. – 4.1. Gli anziani come soggetti vulnerabili - 4.2. Gli anziani come categoria “di leva” della proprietà intellettuale? - 5. Conclusioni: una proprietà intellettuale sostenibile per una sanità sostenibile - NOTE


1. Cenni introduttivi

Alla luce dei due diversi – ma strettamente connessi – fenomeni della digitalizzazione della medicina e dell’espansione delle logiche di mercato (anche) al settore della salute, intere fasce della popolazione stanno fronteggiando difficoltà sempre maggiori nell’esercizio del proprio diritto di accesso alle cure garantito da numerose carte internazionali. Tra queste, vi è indubbiamente quella degli anziani, la cui configurabilità come categoria autonoma giuridicamente rilevante è dubbia ma oggetto di crescenti riflessioni da parte della dottrina, italiana [1] e non solo. Parte del problema è individuato da taluni nel complessivo impianto della proprietà intellettuale (IP), intesa come insieme di normative preposte ad incentivare una ricerca scientifica volta più al soddisfacimento di logiche estreme di profitto, che alla produzione della conoscenza pura. Il framework dell’IP, in particolare, nell’apparente intento di promuovere l’innovazione, sarebbe di fatto strumentalizzato al fine di promuovere gli interessi delle imprese private che detengono una posizione di forza del c.d. “mercato della salute” (big pharma) [2], a scapito dei cittadini e a detrimento dei sistemi sanitari pubblici che si trovano a farsi carico delle spese legate alla fornitura di farmaci e servizi essenziali oggetto di numerose privative [3]. Il presente contributo tenta, innanzitutto, di dar prova dell’esistenza di un filo conduttore che lega i diversi lembi di tale sistema: il “mercato” della salute, al cui presidio sarebbe preposto il complesso dei diritti di esclusiva delineato dal quadro normativo della proprietà intellettuale, determina l’applicazione all’ambito della ricerca di logiche di profitto, le quali impattano sulla capacità dell’apparato pubblico statale di fornire ai cittadini i servizi sanitari essenziali in modo egalitario, che si traduce infine in una difficoltà di accesso alle cure da parte dell’intera collettività e (soprattutto) degli anziani. In secondo luogo, esso cerca di confutare l’assunto che un sistema così strutturato sia davvero in linea con la funzione a cui la proprietà intellettuale sarebbe preposta. Quale che sia la teoria di giustificazione della stessa che si ritiene di voler sposare, un quadro normativo che nel complesso si traduce in una [continua ..]


2. Il diritto alla salute. – 2.1. Nuovi problemi di accesso alle tecnologie e tradizionali problemi di accesso alle cure

Nel nostro ordinamento, il diritto di accesso alle cure trova la sua prima fonte nell’art. 32 della Costituzione ed è specificatamente salvaguardato come “gemmazione” del diritto alla salute. Ostacolare o rendere difficoltoso l’esercizio del diritto alle cure assume, pertanto, i profili di una violazione di quello che la nostra Carta fondamentale definisce un diritto “dell’individuo e interesse della collettività”. Anche nella prospettiva europea, il diritto di “accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali” è considerato il nucleo essenziale del diritto alla salute (art. 35 della Carta di Nizza). L’idea di un “mercato” della salute come quello che sembra oggi delinearsi costituisce potenziali pericoli per l’esercizio di tale diritto fondamentale, e ciò in particolare per alcuni gruppi di persone maggiormente destinati a sopportarne il peso. La difficoltà di accesso alle cure per gli anziani assume tre principali connotati: può declinarsi come (i) preclusione di fatto ad usufruire dei servizi della sanità digitale [4] (“della telemedicina, della teleassistenza e del telesoccorso” [5]), compendiabili nell’espressione “cure digitali”, per mancanza delle competenze tecnologiche necessarie a tal fine; oppure come (ii) difficoltà o impossibilità economica di far ricorso a vie di accesso pubbliche ai servizi sanitari essenziali, laddove il sistema sanitario nazionale (ove presente, come in Italia) non sia in grado di sostenere il sovraccarico di utenti e di costi; o, ancora, come (iii) assenza, a monte, di studi adeguati su talune malattie specificatamente riferibili agli anziani [6]. Rispetto al primo profilo, il fenomeno all’interno del quale si inquadra il problema dell’accesso alle cure digitali da parte degli anziani è quello della più generica “strutturale vulnerabilità” – profilo a cui la recente legislazione europea si sta approcciando con particolare attenzione negli ultimi anni [7] – che riguarda tutti gli individui nel mondo digitale. Una tale condizione generale di vulnerabilità, che “si radica nel carattere intrinsecamente asimmetrico” [8] della relazione tra uomo e nuove tecnologie, si accentua [continua ..]


2.2. Le logiche di profitto nel “mercato” della salute

La letteratura scientifica sta da tempo dimostrando come le logiche di mercato influiscano sulla minor propensione degli istituti di ricerca (soprattutto se privati) a investire in farmaci che possano far fronte a malattie rare o che riguardano specifiche categorie di persone. È stato notato a tal proposito che, in questo settore, “i fini economico-commerciali hanno spesso distorto la ricerca, favorendo le cure economicamente più fruttuose o i progetti di ricerca funzionali ad interessi commerciali a breve termine” [24]. La ragione dei ridotti investimenti sullo studio di talune malattie sembrerebbe essere ricollegabile allo scarso valore in termini di redditività del prodotto farmaceutico che sarebbe chiamato a farvi fronte. Quello che le case farmaceutiche chiamano “value” del farmaco corrisponde, infatti, “al valore che uno Stato, un sistema sanitario (o un cittadino) dovrebbero sostenere per curare una persona con la malattia per cui è necessario quel farmaco” [25]. Ebbene, nel “value [sarebbe] incluso anche il valore economico della persona curata: la sua capacità produttiva” [26]. Ciò vorrebbe dire che meno produttiva è (considerata) quella data persona – l’esempio dell’anziano è emblematico in tal senso – più basso è il valore economico del farmaco che tale persona è chiamato a curare e minore è l’interesse che le case farmaceutiche hanno ad investirvi: il prezzo di mercato che le stesse potrebbero imporre, scaricandone parte dei costi sulla collettività, sarebbe necessariamente minore di quello a cui potrebbero vendere un farmaco dal valore maggiore e dunque più bassi i profitti che ne ricaverebbero. Anche la tendenza a informare le ricerche scientifiche su uno standard di “uomo giovane, bianco e lavoratore”, piuttosto che differenziare in modo sistematico i campioni di soggetti studiati in base a età, sesso, genere, ecc., sarebbe una indiretta conseguenza di tali logiche di profitto: innanzitutto, come si è detto, perché la capacità produttiva di coloro su cui vengono effettuati i trials clinici e gli studi pre-clinici entra in pieno nell’analisi sul value del farmaco; e poi per un più generale fenomeno di “andronormativity” [27] che, oltre ad essere ragione di forti e ormai piuttosto [continua ..]


3. Brevettare la salute… – 3.1. Gli argomenti a sostegno della proprietà intellettuale e la tragedia degli anticommons

In una sua recente intervista resa alla giornalista scientifica Caterina Visco per il Mulino e confluita nel libro “Brevettare la salute” [32], il farmacologo e ricercatore italiano Silvio Garattini identifica il cuore delle questioni maggiormente problematiche della ricerca scientifica farmacologica nell’abbassamento delle barriere di accesso alla tutela brevettuale da parte di farmaci dallo scarso “valore terapeutico aggiunto” [33]. Più in generale, le critiche del presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Genova sono rivolte alla scarsa attitudine della proprietà intellettuale a ergersi a strumento di promozione della ricerca scientifica [34], così come invece vorrebbe la lettura classica che viene fatta delle privative riconosciute ai titolari di brevetti (e marchi) sui farmaci. Come si sa, il ruolo dei brevetti è stato a lungo oggetto di ricerche, dibattiti e accese controversie [35]. E oggi ancor di più: riflessioni interessanti sulla funzione della normativa a tutela delle invenzioni e delle creazioni della mente umana ormai proliferano copiose, nel tentativo di trovare la migliore regolamentazione del recente fenomeno delle generative AI [36] e il giusto bilanciamento tra gli interessi in gioco che vi ruotano intorno. La ricerca delle ragioni che sorreggono l’IP e che, quindi, giustificano il riconoscimento di uno spazio di esclusiva artificiale su dei beni immateriali (di per sé non rivali e non escludibili) è essenziale al fine di aiutare gli interpreti e l’intera collettività a comprendere gli obiettivi che si ritiene di voler perseguire tramite l’istituzione di diritti di proprietà intellettuale. [37]. Interrogarsi sulla funzione della proprietà intellettuale è, infatti, un passaggio imprescindibile per comprendere se i “benefits of intellectual property” rispondano o meno agli obiettivi a cui essa si ritiene sia preposta. Se “various justifications for the protection of these rights have been propounded” [38], di certo, l’argo­mento più diffuso e ripetuto a favore dei brevetti è quello dell’incentivo alla innovazione [39] (si tratta della c.d. teoria utilitaristica della proprietà intellettuale): già nel 1813, in una lettera all’inventore Isaac [continua ..]


3.2. Verso una proprietà intellettuale sostenibile

Come si è visto, la crescente espansione della proprietà intellettuale, in termini di oggetto e di numero di prerogative riconosciute ai titolari dei diritti, costituisce un punto critico dell’attuale impianto normativo a tutela delle innovazioni e delle creazioni della mente umana, specialmente nel campo della ricerca scientifica e farmacologica. Si ritiene, tuttavia, che – contrariamente alla lettura che ne viene data dalla dottrina maggioritaria – il problema non dovrebbe essere individuato tanto, in termini astratti, nella proprietà intellettuale in sé, quale “bestia nera” del “capitalismo della conoscenza” [89]. Essa che, non a caso, soffre ormai da tempo di una crisi di legittimazione pubblica [90], è in realtà uno strumento di per sé neutro, rispetto al quale le teorie generali di giustificazione appena esposte corrispondono a nient’altro che precise scelte di politica del diritto. Le logiche di profitto non sono, infatti, ontologicamente intrinseche alla proprietà intellettuale: le motivazioni che spingono il potere legislativo a costituire artificialmente spazi di esclusiva riconducibili alle privative dell’IP ben possono declinarsi anche intorno a valori differenti da quelli difesi essenzialmente dall’indu­stria (farmaceutica). Il punto problematico è, dunque, l’utilizzo che si fa di questo strumento giuridico – ribattezzato da qualcuno come pseudo-IP [91] – che vede oggi l’impianto normativo della proprietà intellettuale sbilanciato verso considerazioni di mera convenienza di mercato [92] e governato da “pochi e influenti attori economici in grado di imporsi” su scala globale con sempre più facilità come i “vincenti” dell’odierno sistema capitalistico [93]. La proprietà intellettuale, invece, potrebbe, e dovrebbe, porsi a vantaggio della collettività e così integrarsi (e non essere concepita in antagonismo [94]) con le prerogative della normativa a tutela della libera concorrenza, soprattutto in un contesto in cui la concentrazione, consolidata e duratura, del potere di tali attori del mercato è estremamente forte, come nel contesto digitale [95]. Nella già citata sentenza del 1978, la Corte costituzionale aveva prontamente sollevato le sue preoccupazioni contro il [continua ..]


3.3. Le politiche “a monte” e “a valle”

Il sentimento di un necessario rinnovato approccio alla proprietà intellettuale non si è sviluppato oggi. Nel diritto d’autore, già da tempo si stanno sollevando “riflessioni critiche”, “fenomeni individuali di dissenso”, ed infine “movimenti d’opinione organizzati”, che “rivendicano l’esigenza di riorganizzare i regimi di stimolo all’innovazione” [109] in termini più coerenti con le istanze di accesso da parte della collettività agli artefatti e, in fin dei conti, alla conoscenza quale bene comune. In ambito brevettuale, i forti dibattiti che vi sono stati, sul tema, a proposito della brevettazione dei vaccini contro il virus COVID-19 [110] – che taluno ha sostenuto dovessero essere ritenuti “global public goods” [111] – sono solo l’ultimo e il più evidente degli esempi di questa crisi di legittimazione che l’IP sta fronteggiando. A tal proposito, è stato osservato, “la tesi di fondo” di un’equa e rapida distribuzione su scala globale dei vaccini anti-COVID-19, “non è nuova” e si basa sull’idea che le politiche di estensione e rafforzamento della proprietà intellettuale, almeno se strumentalizzate così come fatto sinora, sono inconciliabili con le prerogative della scienza aperta [112]. Tra gli espedienti tecnici che potrebbero essere adoperati per ridare vigore alla normativa posta a tutela dei beni immateriali dell’IP in un’ottica sostenibile vi sono alcuni strumenti già conosciuti alla proprietà intellettuale. In questo contesto, taluni autori [113] usano distinguere tra due principali forme di intervento possibili: da un lato, quelli ascrivibili alle politiche “a valle” della proprietà intellettuale, dall’altro, i correttivi riconducibili alle politiche “a monte”. Tra le prime vanno fatte rientrare quelle che incidono, ad esempio, (i) sull’attivazione di meccanismi di tutela della concorrenza [114], (ii) sullo strumento delle licenze obbligatorie (le c.d. compulsory licenses), (iii) sulla sospensione dell’accordo TRIPS, con riferimento ai diritti di proprietà intellettuale su vaccini, farmaci e dispositivi medici, (iv) sull’istituzione di un fondo di ricerca permanente, sotto l’egida dell’OMS o di istituzioni [continua ..]


4. …nell’epoca di una popolazione che invecchia. – 4.1. Gli anziani come soggetti vulnerabili

Se volessimo descriverla con le parole della sociologa Brené Brown, usate in un TedX tenutosi a Houston nel 2010, la vulnerabilità è la condizione di chi si appresta a “far qualcosa per cui non ci sono garanzie, attendere la telefonata del medico dopo una mammografia, investire in una relazione che può o non può funzionare” [160]. Derivato del latino vulnerabĭlis (ove “vulnerare” significa «ferire»), il termine vulnerabilità indica la condizione di chi può essere ferito, l’esposizione dunque di un determinato soggetto a un potenziale pericolo o a una situazione a sé sfavorevole. Ci si chiede da tempo se ciò che l’opinione comune [161] “non esita ad individuare” complessivamente come “anziani” possa assurgere a categoria giuridica autonoma caratterizzata dal riconoscimento, in capo ai soggetti che vi fanno parte, di tratti più o meno comuni di vulnerabilità. Il quesito si pone in parallelo con la crescente presa di coscienza che è in atto una “rivoluzione silenziosa [162]” che vede come inarrestabile l’invecchiamento della popolazione mondiale e si estrinseca in questi termini: esiste, per il diritto, o sarebbe opportuno teorizzare, un concetto di “anziani” quale categoria giuridica di individui “accomunati dal progressivo decadimento delle forze fisiche e mentali che accompagna l’in­vecchiamento” [163], cui attribuire un particolare status giuridico derogatorio rispetto al diritto comune in ragione proprio della loro condizione di vulnerabilità? Il diritto civile (italiano, ma non solo) stenta a farsi carico di una simile teorizzazione [164]. Le ragioni sono molteplici: dalla “difficoltà di individuare caratteristiche comuni e costanti dipendenti dall’età che possano giustificare l’individuazione di una categoria anagrafica [165], analoga a quella dei soggetti minori di età” [166], alla considerazione che immaginare una categoria di individui anziani possa essere stigmatizzante e foriero di discriminazioni, inaccettabili in un sistema come quello tradizionale, in cui il soggetto giuridico è e dovrebbe essere, nella fisiologia dei suoi rapporti con altri e rispetto alla legge, “sempre uguale a se stesso” [167] e non declinato [continua ..]


4.2. Gli anziani come categoria “di leva” della proprietà intellettuale?

Il quesito che, a questo punto dell’analisi si delinea come inevitabile, è se la “categoria” degli anziani possa essere resa giuridicamente “visibile” – o se sarebbe opportuno che lo fosse – anche alla proprietà intellettuale. Immaginare un sistema di proprietà intellettuale “inclusivo” delle istanze di gruppi in genere invisibili al diritto (civile) significa superare anche in questo campo la concezione del soggetto neutro di diritto, riconoscendo agli stessi uno status peculiare e una protezione specifica in termini di accesso alle cure che passi anche attraverso i meccanismi dell’IP. Si consideri a tal proposito che il sistema sanitario italiano, come più volte rilevato, già conosce categorie di soggetti a cui garantisce un accesso gratuito ai servizi essenziali, ma se ne sobbarca il peso economico. Un ripensamento della proprietà intellettuale potrebbe, invece, agire a monte, redistribuendo i vantaggi dell’innovazione scientifico-farmacologica sull’intera collettività. In una proprietà intellettuale immaginata e strutturata come sostenibile, trasparente e inclusiva si potrebbe, ad esempio, optare per l’introduzione di limitazioni alle privative esistenti, che siano specificatamente ritagliate sulle esigenze degli anziani. Oppure, si potrebbe immaginare di tradurre i diritti alla salute e alla non discriminazione in altrettanti diritti soggettivi, azionabili dagli anziani, a pretendere l’accesso ai medicinali e ai servizi essenziali, anche quando questi siano coperti da IP, in virtù di specifiche eccezioni appositamente predisposte in loro favore. Si potrebbe altresì prevedere un regime giuridico volto a riconoscere come pretese giuridicamente rilevanti quelle, da parte di tali categorie, di essere adeguatamente rappresentate nelle ricerche scientifiche. Potrebbe trovare spazio, ad esempio, la formulazione di un diritto soggettivo a promuovere una ricerca inclusiva per gli anziani (anche quando non fosse conveniente economicamente), seppur, tuttavia, nell’equilibrato rispetto del principio di libertà della ricerca sancito dalle Costituzioni. Potrebbero essere adottate, poi, delle politiche di regolamentazione pubblicistica dei prezzi, almeno per quei farmaci brevettati concepiti per far fronte alle malattie delle categorie che sono destinate a subire maggiormente il peso dello [continua ..]


5. Conclusioni: una proprietà intellettuale sostenibile per una sanità sostenibile

Come si è visto, un sistema di “mercato” della salute come quello attuale costituisce potenzialmente un pericolo per l’esercizio di fatto del diritto alle cure di tutti i cittadini. Esso, tuttavia, espone soprattutto gli anziani – quale categoria maggiormente destinata a sopportarne il peso – ad una condizione sfavorevole che ne può giustificare la loro considerazione quale “gruppo vulnerabile”. Alla luce dell’espansione delle logiche di mercato anche al settore della salute e, in particolare, nella ricerca scientifica, gli anziani si trovano, infatti, a fronteggiare sempre maggiori difficoltà nell’esercizio del proprio diritto di accesso alle cure, vuoi per quello che è stato postulato come “digital divide” generazionale, vuoi per il fatto che la necessità di attingere a cure massicce tendenzialmente connaturata al decadimento fisico e mentale conseguente all’avanzamento dell’età si scontra con un progressivo sovraccarico dei sistemi sanitari nazionali [176] e con la parallela mancanza di investimenti da parte di “big pharma” su malattie la cui ricerca risulta essere poco redditizia per il mercato della salute. Non vi è dubbio che, in un quadro del genere, vi sia bisogno, come anche dimostrato dalla crisi pandemica, di una riconsiderazione della sanità in ottica sostenibile, la quale dovrebbe auspicabilmente scorporarsi dalle logiche di mercato e far tornare al centro delle sue riflessioni e delle sue azioni strategiche, l’indi­vi­duo [177], in tutte le sue sfaccettature (sesso, genere ed età compresi). Infatti, un mercato della salute così strutturato, che inficia nel profondo anche lo sviluppo di un ambiente di ricerca collaborativo, pluralista e rivolto alla produzione di conoscenza (e non al mero profitto), non è desiderabile. In linea con queste istanze di sostenibilità del settore sanitario, già da tempo sono state intraprese a livello internazionale delle iniziative volte a promuovere un obiettivo di “Copertura Sanitaria Universale, o Universal Health Coverage (UHC)”. Esso “prevede che tutte le persone e le comunità abbiano accesso ai servizi sanitari di cui hanno bisogno senza sofferenza economica” [178]. Uno degli strumenti che potrebbero fare da propulsori ad una ridefinizione dei rapporti di forza tra [continua ..]


NOTE