Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Domanda contestuale di separazione e divorzio e domanda congiunta: la tutela della parte debole (di Leonardo Lenti, Professore ordinario di Diritto privato – Università degli Studi di Torino)


L'Autore, partendo dalle novità introdotte dal d.lgs. 149/2022 in materia di separazione e divorzio, si sofferma su una questione di grande interesse, attualmente al vaglio della Corte di Cassazione, quella, cioè, relativa alla possibilità di presentare, anche congiuntamente, la domanda contestuale di separazione e divorzio.

Contextual application for separation and divorce and joint application: the protection of the weak party

The Author, starting from the innovations introduced by Legislative Decree 149/2022 regarding separation and divorce, focuses on a question of great interest, currently under consideration by the Italian Court of Cassation: the possibility of presenting, even jointly, the simultaneous request for separation and divorce.

SOMMARIO:

1. Le nuove norme e le loro conseguenze - 2. L’illiceità degli accordi di divorzio stipulati al momento della separazione: un asserto alla ricerca di un fondamento giuridico - 3. La ricerca del fondamento continua - 4. Un’osservazione generale: come “abrogare” una norma di origine giurisprudenziale? - 5. Le modalità di tutela della parte più debole - NOTE


1. Le nuove norme e le loro conseguenze

Il d.lgs. n. 149/2022, in esecuzione della delega contenuta nella l. n. 206/2021, comma 23, lett. bb, ha introdotto la facoltà di presentare contestualmente la domanda di separazione e quella di divorzio, pur restando la seconda improcedibile per i 6 o 12 mesi, secondo i casi, come previsto dall’art. 3, comma 2, lett. b della legge sul divorzio. Il nuovo art. 473-bis.49 c.p.c. – rubricato «cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio» – stabilisce al comma 1 che «negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse». Il nuovo art. 473-bis.51 c.p.c. – rubricato «procedimento su domanda congiunta» – stabilisce al comma 1 che le parti possono presentare domanda congiunta per dare inizio ai procedimenti elencati nell’art. 473-bis.47 c.p.c.: dunque per quelle di «separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelle di modifica delle relative condizioni». Stabilisce poi al comma 2 che il ricorso, «sottoscritto anche dalle parti», deve contenere tra l’altro la determinazione delle «condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici», e può «anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali» [1]. Queste prescrizioni, non distinguendo fra domanda di separazione e domanda di divorzio, si dovrebbero applicare a entrambe le domande. Il tenore letterale delle nuove norme sembra proprio non permetter di distinguere, ai fini della presentazione contestuale delle domande di separazione e divorzio, fra il caso della domanda congiunta e quello della domanda proposta da una parte contro l’altra [2]. Da ciò la conseguenza – ovvia, mi sembrerebbe – che le domande congiunte possano contenere entrambe le richieste: in tal caso l’accordo sottoposto al giudice deve contenere tanto le determinazioni economiche riguardanti la separazione quanto quelle riguardanti il divorzio [3]. Ne consegue che non dovrebbe più restare in vita, [continua ..]


2. L’illiceità degli accordi di divorzio stipulati al momento della separazione: un asserto alla ricerca di un fondamento giuridico

Nonostante le forti critiche dell’ormai larghissima maggioranza della dottrina, la Corte di cassazione afferma da oltre 40 anni che gli accordi sulle condizioni del divorzio raggiunti al momento della separazione legale sono nulli. A questo modo disconosce il giusto e ragionevole interesse delle parti a raggiungere fin dall’inizio della vicenda legale un accordo completo e definitivo, salvo successivi mutamenti delle circostanze di fatto; anzi, lo contrasta frontalmente. Negli oltre 70 anni di vigenza della legge sul divorzio, l’oscillazione degli orientamenti sulla cosiddetta “natura” dell’assegno – prima composita, poi solo assistenziale, poi di nuovo composita – manifesta l’estrema difficoltà e la profonda incertezza in cui si dibatte il nostro diritto, tanto di fonte legislativa quanto di fonte giurisprudenziale, nel darne una regolazione che sia abbastanza precisa da soddisfare l’esigenza di certezza del diritto, ma anche abbastanza elastica da soddisfare l’esigenza di giustizia nel caso concreto. E di sicuro manifesta l’inadeguatezza e la pericolosità delle formulette generalizzanti, le quali partoriscono concetti astratti e rigidi, che poi finiscono col vivere di vita propria, indipendentemente dalla ragione che ha dato loro vita, e possono a volte generare sconquassi, soprattutto se riescono a intrufolarsi nelle massime: ne è un caso esemplare l’asserto giurisprudenziale secondo il quale gli accordi per il divorzio raggiunti al momento della separazione sono sempre radicalmente nulli, anche se la parte che ne fa valere la nullità non è quella che, stipulandoli, avrebbe rinunciato a un diritto indisponibile [6]. Questa posizione della Corte suprema è rimasta graniticamente costante a livello di formule astratte, ma ha subito varie evoluzioni nel corso del tempo: quasi fosse un asserto, intoccabile nella sua sacertà, al quale bisogna cercar di trovare un qualche fondamento giuridico, da rinnovare man mano che il diritto vivente cambia. Ciò mi induce a ripercorrere rapidamente la storia del mutare dei suoi fondamenti. Parto da quello iniziale: nella sentenza più ampiamente motivata, che a lungo è stata citata dalla giurisprudenza successiva come esemplare [7], si legge anzitutto che tale accordo inciderebbe sulla condotta difensiva del coniuge che richiede l’assegno, inducendolo a non [continua ..]


3. La ricerca del fondamento continua

La ricerca di un qualche fondamento giuridico da dare all’intoccabile asserto, man mano che quelli adottati in precedenza si sbriciolavano, si è ormai concentrata sul principio di inderogabilità dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio, di cui all’art. 160 cod. civ. [11], cui si aggiunge l’argomento di autorità (“… come costantemente affermato da questa Corte …”). Bisogna fare molta attenzione a brandire una simile norma come principio applicabile in ogni risvolto del diritto matrimoniale: si tratta – mi si permetta il traslato – di un’arma di distruzione di massa. Se preso sul serio nel suo tenore letterale, generalissimo, porterebbe per coerenza logica a conseguenze surreali: per esempio l’illegittimità della decisione stessa dei coniugi di separarsi o la nullità di qualsiasi accordo per regolare la loro separazione di fatto, o la nullità dell’accordo presentato all’ufficiale di stato civile. Sono tutti casi in cui le parti concorderebbero, appunto, la deroga a diritti indisponibili. È noto che gli obblighi matrimoniali reciproci sono in via di principio inderogabili; o meglio, ciò che è inderogabile sono i nomina, le etichette con le quali il codice sintetizza le caratteristiche salienti della relazione coniugale e ne prescrive il rispetto. Tuttavia è ormai comunemente accettato che la loro interpretazione debba adattarsi con la necessaria flessibilità alle scelte idiosincratiche dei coniugi, concordate nel determinare l’indirizzo della loro vita familiare. Non è il caso di dilungarmi oltre, trattandosi a mio avviso di ovvietà [12]. Aggiungo poi, quanto ai nomina, che la loro inderogabilità di principio può operare solo finché entrambe le parti si considerano vincolate, cioè fin tanto che accettano le limitazioni della loro libertà personale derivanti dal matrimonio o dall’unione civile; in altre parole, finché intendono restare unite. Quando questa intenzione viene meno, anche per una sola di esse, è il rapporto stesso che legava la coppia e che imponeva quelle regole di condotta a venir meno. Questo emerge con chiarezza dalla nota regola giurisprudenziale secondo la quale i doveri di carattere personale non sopravvivono alla separazione e quindi la pronuncia dell’addebito non può essere [continua ..]


4. Un’osservazione generale: come “abrogare” una norma di origine giurisprudenziale?

Queste vicende mi suggeriscono un’osservazione di carattere generale sulle modalità di abrogazione delle norme, che può apparire paradossale in un sistema di diritto legislativo, come il nostro: le norme di fonte giurisprudenziale – se mi si consente questa locuzione – sono più resistenti all’abrogazione implicita da parte del legislatore rispetto a quelle di fonte legislativa. L’abrogazione delle norme giurisprudenziali per contrarietà a nuove norme di legge – tanto più se queste sono fondate su principi nuovi, frutto di scelte di politica del diritto di rottura con il passato – ha infatti bisogno di essere più chiara e assolutamente incontrovertibile rispetto a quanto è invece richiesto per abrogare norme contenute in articoli di legge. Affinché l’abrogazione legislativa implicita di una norma giurisprudenziale risulti davvero vincolante – per contrarietà al diritto previgente – è spesso necessario che le nuove norme di legge frappongano ostacoli testuali forti, a tal punto inequivocabili da impedire all’interprete di mantenere fedeltà alle vecchie regole giurisprudenziali, anche se lo volesse. Mi sembra che il caso qui in esame ne sia un esempio: il legislatore ha ammesso la presentazione contestuale delle due domande, ma non ha previsto espressamente che ciò riguardasse anche la domanda presentata congiuntamente dai coniugi; così, secondo alcuni, la regola giurisprudenziale elaborata secondo il diritto previgente, benché contraddetta dalle nuove norme, potrebbe, o dovrebbe, continuare a vivere perché non è stata espressamente cancellata. La maggiore resistenza delle norme giurisprudenziali all’abrogazione legislativa non è una novità, né riguarda solo questo caso. Se ne incontrano molti esempi: per limitarsi alla disciplina della separazione legale, ne cito due, riguardanti novità introdotte dalla riforma del 1975. L’art. 155 cod. civ. aveva stabilito in modo espresso un criterio da seguire per decidere l’affidamento dei figli, mentre prima la legge non ne indicava alcuno: si doveva fare «esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale» della prole. Con l’inserzione dell’aggettivo esclusivo restava espressamente preclusa la possi­bilità di ricorrere ad altri criteri, spesso [continua ..]


5. Le modalità di tutela della parte più debole

Gli accordi raggiunti dai coniugi per regolare la loro vita futura, sia come legalmente separati sia come divorziati, hanno una natura sostanzialmente contrattuale, sicché sono loro applicabili i consueti rimedi della patologia contrattuale: in particolare, per quanto qui interessa, l’annullamento per vizi della volontà. Questa conclusione è ormai pacifica, ma la dottrina e la giurisprudenza hanno molto faticato a raggiungerla, perché a lungo impastoiate nell’asserita non contrattualità di tutto quanto riguarda le relazioni fra i coniugi, corollario nel mito dell’assoluta indisponibilità. Il d.lgs 149 disciplina l’obbligo della cosiddetta disclosure, cioè della comunicazione alla controparte di ogni aspetto delle proprie condizioni economiche. Gli artt. 473-bis.12, comma 3 e 473-bis.51, comma 2, c.p.c. disciplinano in modo particolarmente attento il dovere di ogni parte contrattuale di informare l’altra su tutto quanto è rilevante in vista dell’accordo. E l’art. 473-bis.18 c.p.c. ne disciplina in modo alquanto severo la violazione, prevedendo che si possano applicare addirittura le sanzioni previste dagli artt. 116, 92, comma 1 e 96 c.p.c. Il dovere di completa informazione a carico delle parti sullo stato dei rispettivi redditi e patrimoni diventa così un aspetto fondamentale del loro «dovere leale di collaborazione» nel processo, secondo la formula posta a rubrica dell’art. 473-bis.18 c.p.c. [18]. La regolazione esplicita e analitica di questo dovere spiana in modo evidente la strada all’impugnazione dell’accordo per i vizi della volontà, in particolare per errore e dolo. In caso di accordo sulle condizioni del divorzio stipulato al momento della separazione, la successiva emersione di condotte di una parte che, in violazione dei doveri di piena informazione su ogni aspetto delle proprie condizioni economiche, hanno portato l’altra a stipulare un accordo affetto da vizi della volontà, soprattutto da errore o da dolo, legittima la parte in errore o vittima del dolo dell’altra a chiederne l’annul­la­mento. E a chiederlo fin dall’inizio della fase del procedimento riguardante il divorzio, visto che è venuto meno l’ostacolo costituito dalle diversità di rito, che in precedenza imponeva un separato procedimento giudiziario: l’art. 473-bis, comma [continua ..]


NOTE