Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La prova dell'inadempimento. La responsabilità del professionista intellettuale e del datore di lavoro (di Flavio Petrocelli, Assegnista di ricerca – Università degli Studi della Tuscia)


Il saggio si propone di analizzare il regime probatorio della responsabilità da inadempimento delle obbligazioni di facere professionale. Ripercorsi i diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in tema di responsabilità del professionista intellettuale, sarà analizzato in prospettiva critica il recente indirizzo della Corte di cassazione che ascrive al creditore, oltre all’onere di allegare l’inadempimento del professionista, quello di provare, anche attraverso presunzioni, il nesso causale tra inadempimento ed evento dannoso. Sarà analizzata la responsabilità del datore di lavoro nelle particolari fattispecie in cui il regime probatorio è allineato al nuovo statuto della responsabilità del professionista intellettuale.

Breach of contract and the allocation of the burden of proof with particular reference to the professional liability and the employer’s liability

The essay aims to analyze the allocation of the burden of proof when the breach of contract concerns obligations related to an intellectual facere. Going through the different orientations of civil Court of Cassation and doctrinal guidelines, this paper will analize, in a critical perspective, the recent address of the Italian Supreme Court which requires the creditor to prove causation in professional liability, even with presumptions, in addition to the illustration of defects of professional’s performance.

Further examination will be given to the employer’s liability where the allocation of burden of proof appears to be similar to the new statute of professional liability.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La prova dell’inadempimento come problema di diritto sostanziale nella responsabilità contrattuale - 2.1. Segue. La prova dell’inadempimento secondo l’orientamento meno recente - 2.2. Segue. La semplificazione degli oneri di allegazione e prova introdotta da Cass. sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533 e le principali critiche della dottrina - 2.3. Segue. Il superamento della distinzione obbligazioni di mezzi e di risultato con riferimento alla responsabilità professionale - 2.4. Segue. Dall’allegazione dell’inadempimento all’allegazione dell’inadempimento “qualificato” - 3. Il più recente orientamento in tema di obbligazioni di facere professionale: l’allegazione dell’inadempimento e la prova del nesso di causalità cd. materiale - 3.1. – Segue. I profili di criticità sottesi al nuovo orientamento giurisprudenziale - 4. La responsabilità del datore di lavoro - 5. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Il regime probatorio della responsabilità da inadempimento delle obbligazioni di facere professionale [1] interroga, in stretta connessione, la disciplina generale dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.) e quella specifica dettata dall’art. 1218 cod. civ. [2] con riguardo alla responsabilità civile del debitore, in relazione agli artt. 1176, 2230, 2236, 2740 cod. civ. Pur in presenza di un dato normativo unitario, negli ultimi decenni si è registrata una copiosa e oscillante elaborazione giurisprudenziale che ha delineato veri e propri sotto-settori della responsabilità civile professionale riservando particolare attenzione alla natura delle prestazioni richieste al solvens e al tipo di interesse da esse protetto, con inevitabili ripercussioni sulla distribuzione degli oneri di allegazione e prova tra le parti del giudizio. Al “modello classico” delle professioni di stampo ottocentesco (ad es. avvocato), erette «sui tre pilastri della colpa (per omissione), della rilevanza della distinzione mezzi/risultato, del nesso causale tra condotta negligente/imperita e danno subito dal cliente… in cui il rischio connesso alla causa ignota o all’incertezza probatoria ricade sul cliente» [3], si era affiancato un “modello nuovo” delle professioni con riguardo alle quali, la giurisprudenza delle Sezioni Unite aveva creato un unitario criterio di ripartizione dell’onere probatorio, fondato sull’art. 1218 cod. civ. ed estensibile a tutte le ipotesi di inadempimento; una volta che il cliente-creditore avesse provato il titolo e meramente allegato l’inadempimento, tale allegazione faceva insorgere nel professionista-debitore l’onere probatorio di individuare e dimostrare la causa, diversa dalla propria prestazione, che aveva determinato l’evento dannoso con conseguente rischio, a suo carico, della causa ignota e dell’insufficienza probatoria. L’adozione di un unitario sistema probatorio era giustificato dai sempre più ridotti margini di aleatorietà che connotano alcune attività professionali grazie al progresso tecnico/scientifico (ad es. professioni ingegneristiche) e dalla necessità di tutelare interessi fondamentali del cliente (ad es. professioni sanitarie e anche notarile, in ragione del connotato pubblicistico [4]) nell’ambito di un rapporto contrattuale strutturalmente [continua ..]


2. La prova dell’inadempimento come problema di diritto sostanziale nella responsabilità contrattuale

Diversamente da altri sistemi giuridici tra cui quello tedesco e dal previgente codice civile Codacci Pisanelli del 1865 [10] di derivazione francese, il legislatore del 1942 ha introdotto una disposizione generale sulla ripartizione dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.) [11] la quale non è autosufficiente sia perché, nel richiamare i fatti costitutivi del diritto, la cui prova grava sull’attore, e i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, la cui prova grava sul convenuto, rinvia alle norme di diritto sostanziale che fondano rispettivamente l’azione o l’eccezione [12], sia perché non stabilisce il criterio in forza del quale qualificare gli elementi della fattispecie [13]. L’indicata disposizione pone, inoltre, un problema di coordinamento con le ulteriori previsioni normative che, in determinati settori, disciplinano l’onere della prova, come l’art. 1218 cod. civ. [14]; sicché, secondo alcuni autori, l’art. 2697 cod. civ. opererebbe solo quale norma di chiusura, alla quale rivolgersi in mancanza di un criterio specifico [15]. La tecnica legislativa adottata dal legislatore del 1942 è frutto della teoria di matrice tedesca secondo la quale le norme sull’onere della prova sono strettamente collegate alle singole disposizioni di diritto sostanziale, poste alla base dei fatti che si vogliono provare [16]. L’art. 2697 cod. civ. è dunque norma sostanziale e non processuale perché l’art. 2698 cod. civ. risulterebbe altrimenti incompatibile con la natura processuale della disposizione da ultimo citata che consente all’au­tonomia privata di stipulare patti diretti a modificare l’onere della prova [17]. La disposizione in esame non è autosufficiente e neppure criterio esclusivo nella ripartizione dell’onere probatorio. Si pensi, ad esempio, oltre alla modifica pattizia ex art. 2698 cod. civ., alle presunzioni legali ex art. 2728 cod. civ., diverse dalle presunzioni semplici ex art. 2729 cod. civ. [18], e alle cd. presunzioni giurisprudenziali. Nel primo caso (presunzioni legali), viene in rilievo una operazione logica compiuta a priori dal legislatore, senza la necessità di una mediazione del giudice [19] e possono darsi presunzioni assolute (juris et de jure) che non ammettono la prova contraria (es. art. 232 cod. civ.) o relative (juris tantum), che consentono [continua ..]


2.1. Segue. La prova dell’inadempimento secondo l’orientamento meno recente

Muoviamo dal primo profilo problematico; ossia se l’inadempimento costituisca fatto costitutivo o meno dell’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. Secondo l’orientamento tradizionale, oggi superato dalla giurisprudenza (su cui infra), la ripartizione del­l’onere della prova dipende dall’oggetto specifico della domanda giudiziale e dunque dall’effetto giuridico che l’attore intende conseguire; si distingue, perciò, tra azione di adempimento, da un lato, e azioni di risoluzione per inadempimento, di risarcimento del danno per mancato adempimento o per inesatto adempimento, dall’altro. Nell’azione di adempimento, ai sensi del primo comma dell’art. 1453 cod. civ., il creditore ha l’onere di provare soltanto la fonte negoziale (o legale) del proprio diritto (id est il titolo) e la eventuale scadenza del termine di adempimento (id est l’esigibilità del credito), quali fatti costitutivi della domanda; spetta, invece, al debitore dimostrare l’adempimento o l’impossibilità di adempiere per causa a sé non imputabile, quali fatti estintivi dell’altrui pretesa con la conseguenza che il rischio della mancata prova grava sul convenuto [25]. Di ciò si trae ulteriore conferma nell’art. 1199 cod. civ. [26] che attribuisce al debitore il diritto di ottenere la quietanza quale prova precostituita del pagamento (e dunque del fatto estintivo), per evitare ulteriori pretese illegittime a suo danno (cfr. Rel. al cod. civ. n. 566). Tale ripartizione degli oneri probatori richiama, del resto, quanto già previsto dal previgente art. 1312 cod. civ. del 1865 [27] in tema di prova delle obbligazioni e della loro estinzione. Alla tesi secondo la quale il giudice non potrebbe condannare il debitore all’adempimento senza che il creditore abbia provato prima l’inadempimento (e, in particolare, il ritardo) quale fatto costitutivo della sua pretesa [28], si oppone il principio della cosiddetta “presunzione di persistenza del diritto” in virtù del quale, una volta che il creditore abbia dimostrato l’acquisto del credito, si presume la perdurante titolarità dello stesso dopo la scadenza del termine per l’adempimento, alla luce della ratio di preservazione dello status quo sottesa all’art. 2697 cod. civ. [29]. Diversamente dall’azione di adempimento [continua ..]


2.2. Segue. La semplificazione degli oneri di allegazione e prova introdotta da Cass. sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533 e le principali critiche della dottrina

Alla luce del richiamato contrasto giurisprudenziale – che però non involgeva la prova dell’inesatto adempimento – le Sezioni Unite della S.C., riprendendo le riflessioni svolte da parte della dottrina [39], hanno dettato un regime probatorio unitario [40]; il creditore che agisca per l’adempimento, la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno (sia da ritardo, sia da inadempimento definitivo), ha l’onere di provare solo la fonte del suo diritto e l’eventuale scadenza del termine di adempimento dell’obbligazione (oltre, naturalmente, al danno conseguente all’inadempimento, in caso di azioni risarcitorie), potendosi limitare ad allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento della controparte; grava sul debitore l’onere di provare il fatto estintivo del diritto invocato dall’attore (adempimento o impossibilità di adempiere per causa a sé non imputabile). Analogo criterio di ripartizione degli oneri di allegazione e prova sussiste per l’eccezione di inadempimento, ove i ruoli delle parti sono semplicemente invertiti [41]. Conformemente all’indirizzo minoritario innanzi citato, le Sezioni Unite hanno applicato (ed esteso) i principi della presunzione di persistenza del diritto [42], d’identità della fattispecie costitutiva dei diritti di cui all’art. 1453 cod. civ. [43] e di vicinanza (o riferibilità) della prova [44] sia all’inadempimento che all’inesatto adempimento [45] e hanno posto a carico del creditore la prova dell’inadempimento solo in ipotesi di violazione delle obbligazioni negative ex art. 1222 cod. civ. perché, con riguardo a queste ultime, secondo le Sezioni Unite, il diritto nasce già soddisfatto (non opera, dunque, alcuna presunzione di mancato adempimento) e non sussistono difficoltà inerenti alla prova di fatti negativi (sulle quali si fonda il principio di riferibilità della prova) atteso che l’inadempimento consiste, piuttosto, in un fatto positivo agevolmente dimostrabile dal creditore [46]. Per un primo orientamento dottrinale, il creditore che agisce per l’adempimento, o anche per la risoluzione e il risarcimento del danno, deduce l’altrui inadempimento non già come ulteriore fatto costitutivo da provare, ma quale circostanza (fatto lesivo del credito) necessaria solo per circostanziare [continua ..]


2.3. Segue. Il superamento della distinzione obbligazioni di mezzi e di risultato con riferimento alla responsabilità professionale

L’estensione dei principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite nel 2001 con riguardo alla responsabilità professionale, imponeva di superare la tradizionale dicotomia tra obbligazioni di mezzi e di risultato [64] che per lungo tempo ha influito sulla ripartizione dell’onere della prova. Proprio perché l’obbligazione del professionista intellettuale (ex art. 2230 cod. civ.) era qualificata sempre “di mezzi”, avente ad oggetto una prestazione di mera diligenza, l’onere della prova della colpa (e dunque dell’inesatto adempimento del debitore) gravava sul creditore [65]; al contrario, nelle obbligazioni di risultato (fondate sul contratto d’opera ex art. 2222 cod. civ.) [66], il creditore poteva limitarsi ad allegare il mancato raggiungimento del risultato dovuto (inadempimento), gravando sul debitore l’onere di provare il fatto positivo (ad es. caso fortuito) che ne aveva reso impossibile il raggiungimento e interrotto il nesso causale tra la condotta e l’inadempimento [67]. La crisi della distinzione dogmatica in esame [68], che riduceva il campo di applicazione dell’art. 1218 cod. civ. [69], talora attenuata da presunzioni giurisprudenziali [70], è stata confermata da altra pronuncia delle Sezioni Unite [71] relativa a una ipotesi di responsabilità di un ingegnere progettista e direttore dei lavori. Le Sezioni Unite hanno osservato che sebbene l’obbligazione inerente all’esercizio di attività professionale e, tra queste, quella del direttore dei lavori [72], sia generalmente qualificabile come obbligazione “di mezzi” e perciò di mera diligenza, talvolta la giurisprudenza di legittimità, in presenza di doveri professionali quali quelli di accertare con precisione i confini, le dimensioni e le altre caratteristiche dell’area sulla quale la costruzione dovrà essere realizzata [73], di sondare il suolo o il sottosuolo su cui deve sorgere l’opera [74] e di redigere un progetto conforme oltre che alle regole tecniche anche alle norme giuridiche che disciplinano l’edificabili­tà [75], attribuisce all’obbligazione del professionista le caratteristiche dell’obbligazione di risultato [76], analogamente a quanto accade per la prestazione del chirurgo estetico e dell’odontoiatra. La distinzione tra [continua ..]


2.4. Segue. Dall’allegazione dell’inadempimento all’allegazione dell’inadempimento “qualificato”

I principi di diritto espressi nel 2001 sono stati richiamati e ulteriormente specificati dalle Sezioni Unite nel 2008 [79] sempre in tema di responsabilità professionale (nella specie, sanitaria). Ribadito il superamento della dicotomia obbligazioni di mezzi e di risultato la quale, priva di basi normative, non può avere riflessi sulla ripartizione degli oneri probatori [80], la S.C. ha chiarito che il creditore non può limitarsi ad allegare un qualunque inadempimento per conseguire il risarcimento del danno, così come affermato da Cass. sez. un. n. 13533/2001, in quanto è necessario che l’inadempimento dedotto in giudizio ne costituisca causa (o concausa) efficiente; deve trattarsi, dunque, di un inadempimento “qualificato” e cioè di uno o più specifici fatti addebitati al convenuto, astrattamente efficienti alla produzione del danno lamentato dall’attore [81]. Tale allegazione fa gravare sul debitore l’onere di dimostrare l’esatta esecuzione della prestazione, e dunque che l’inadempimento dedotto dalla controparte non vi è stato, oppure che la mancata o inesatta esecuzione prestazione dipenda da una causa a lui non imputabile [82]. Il danneggiato è pertanto duplicemente avvantaggiato; non solo perché beneficia dell’allegazione (e non già della prova) dell’altrui inadempimento, ma anche perché è esentato dal provare, in concreto, la sequenza causale che ha condotto al danno di cui chiede ristoro, diversamente da quanto accade nella responsabilità professionale dell’avvocato ove, invece, la giurisprudenza esige che il cliente dimostri nel caso specifico, sia pure in termini probabilistici, quale sarebbe stato l’esito del giudizio allorché fosse stata tenuta la condotta omessa o diligente del professionista [83]. Nella prospettiva adottata dalle Sezioni Unite del 2008, dunque, il rischio della causa ignota grava sul debitore che non abbia assolto il proprio onere probatorio [84]. La giurisprudenza successiva, tuttavia, non si è sempre uniformata all’indirizzo in esame reputando il nesso causale un ulteriore elemento costitutivo della fattispecie che il danneggiato ha comunque l’onere di provare per ottenere il risarcimento del danno [85].


3. Il più recente orientamento in tema di obbligazioni di facere professionale: l’allegazione dell’inadempimento e la prova del nesso di causalità cd. materiale

Secondo il più recente orientamento della S.C. [86], il creditore di una prestazione professionale (nei casi esaminati, prevalentemente a carattere sanitario) è tenuto non soltanto a provare il titolo e ad allegare l’inadempimento, ma altresì a provare il nesso di causalità cd. materiale tra la condotta del professionista e l’evento dannoso, nonché la causalità cd. giuridica tra il danno evento e quello conseguenza ex art. 1223 cod. civ. Nella generalità delle obbligazioni di dare e fare (non professionale) la causalità materiale, che attiene al collegamento naturalistico fra fatti da accertare sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali [87], può essere distinta solo teoricamente dall’inadempimento attesa la diversità concettuale tra eziologia e imputazione; in concreto, però, essa non è separabile dall’inadempimento perché quest’ultimo corrisponde già “alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e dunque al danno evento” [88]. Nell’ambito delle obbligazioni di diligenza professionale, e in particolare in quelle del sanitario e dell’av­vocato, è invece possibile distinguere l’interesse “presupposto” (ad es. guarigione dalla malattia o vittoria della causa) che, benché non dedotto in obbligazione, è comune alle parti e rileva al livello della causa del contratto, dall’interesse “strumentale” alla prestazione richiesta. La violazione delle leges artis nell’esecuzio­ne della prestazione “strumentale” richiesta al debitore potrebbe non essere causa dell’evento dannoso il quale potrebbe prodursi per ragioni diverse dall’inadempimento [89]. Per tale ragione, diversamente da quanto accade nelle obbligazioni di dare o fare non professionale in cui l’evento dannoso coincide con l’inadempimento, il creditore è tenuto a provare che la condotta del professionista (e non altro) sia stata la causa dell’evento dannoso. Ritorna così la distinzione tra obbligazioni di mezzi (ora denominate obbligazioni di diligenza professionale) e di risultato [90] esplicitamente affermata soprattutto con riferimento alla responsabilità dell’avvocato [91]. La S.C. ha dunque creato una summa divisio: per le [continua ..]


3.1. – Segue. I profili di criticità sottesi al nuovo orientamento giurisprudenziale

Il nuovo orientamento sostenuto dalla S.C. non convince sotto diversi profili. In primo luogo non sembra sussistere uno statuto normativo differenziato per le obbligazioni di diligenza professionale che possa ripercuotersi sui temi di prova del creditore, in virtù del quale grava sul danneggiato, in aggiunta all’allegazione di un inadempimento astrattamente efficiente alla produzione del danno [94], l’onere di provare preliminarmente il nesso di causalità materiale tra condotta del debitore ed evento di danno [95] il cui mancato assolvimento impedisce di valutare il comportamento del professionista e fa ricadere sul cliente il rischio della causa ignota. A differenza dell’illecito civile ex art. 2043 cod. civ., nella struttura dell’art. 1218 cod. civ. – unica norma che disciplina la responsabilità contrattuale e quindi anche quella dei professionisti intellettuali – l’inadempi­mento al vincolo contrattuale è un dato presupposto e il tema di prova grava tutto sul debitore il quale, per liberarsi dalle sue conseguenze (risarcimento dei danni) è tenuto a provare o che difetta lo stesso presupposto della prima parte della norma e cioè l’inadempimento [96] ovvero che, pur sussistendo, si è verificato per una causa esterna, imprevedibile e/o inevitabile non a lui imputabile (seconda parte della norma) [97]. Sembra inoltre difficile conciliare la posizione espressa dalle Sezioni Unite (nel 2001 e poi nel 2008) in punto di mera allegazione dell’inadempimento con l’onere della prova del cd. nesso di causalità materiale da parte del creditore. Se, come precisa la stessa S.C., il nesso eziologico costituisce un giudizio a posteriori tra fatti e non una categoria a priori, oggettivamente accertabile, sicché la prova del nesso di causa, in realtà, si incentra sui fatti materiali, rispetto ai quali si fonda il ragionamento ricostruttivo (nomologico/deduttivo) del nesso [98], allora il problema dell’accertamento della causalità non può scindersi dal primo polo della relazione causale, ossia dai fatti che concretano l’inadempimento [99]. Offrire la prova in concreto del collegamento causale tra più eventi, implica non già la mera allegazione, ma la dimostrazione dei fatti posti alla base della sequenza, a partire dalla condotta del debitore che si assume [continua ..]


4. La responsabilità del datore di lavoro

In materia di responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ., la distribuzione dell’onere probatorio è sostanzialmente analoga al nuovo statuto della responsabilità del professionista intellettuale (su cui v. retro). Esclusa la natura oggettiva della citata responsabilità in quanto collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, non potendosi esigere da parte del datore di lavoro la predisposizione di misure idonee a fronteggiare le cause di infortunio imprevedibili [145], il lavoratore che agisce per il risarcimento dei danni è tenuto non soltanto ad allegare l’inadempimento datoriale, ma a provare, oltre al danno subito, anche la nocività dell’ambiente di lavoro inteso come rischio specifico cui è esposto in dipendenza dello svolgimento delle sue mansioni [146], nonché il nesso eziologico tra nocività e danno, pur restando esclusa la prova dell’inadempimento e cioè la dimostrazione della violazione, da parte del datore di lavoro, di specifiche misure antinfortunistiche – anche innominate – [147]. Soltanto all’esito dell’indicata prova (anche presuntiva), sorge per il datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del pregiudizio dedotto e provato in giudizio dal lavoratore [148]. Anche nell’ambito delle azioni risarcitorie da mobbing, che ha fonte contrattuale ex art. 2087 cod. civ. ed extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ., spetta al danneggiato-lavoratore fornire una prova particolarmente rigorosa: non la semplice colpa del datore di lavoro e quindi fatti specifici lesivi, bensì, per la particolare configurazione della fattispecie [149], il dolo specifico del datore stesso e perciò che i singoli fatti lesivi, in sé illegittimi o anche legittimi, sono unificati da un disegno persecutorio preordinato alla prevaricazione [150]. Il danneggiato dovrà inoltre provare l’evento lesivo e il nesso eziologico tra i fatti lesivi e il pregiudizio alla sua integrità psico-fisica [151], gravando invece in capo al datore di lavoro la prova di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore [152]. Ulteriore [continua ..]


5. Conclusioni

Dall’esame degli orientamenti sopra citati emerge che il creditore è tenuto a provare l’inadempimento del debitore nelle obbligazioni negative ai sensi dell’art. 1222 cod. civ. e in talune fattispecie espressamente previste dalla legge come nel caso dei licenziamenti individuali per giusta causa o giustificato motivo (art. 5 l. n. 604/1966) se si valorizza la qualità di creditore della prestazione del datore di lavoro. Fuori da tali principali ipotesi, nella più recente giurisprudenza il regime probatorio unitario della responsabilità per inadempimento delineato dalle Sezioni Unite tende a differenziarsi nei casi di inadempimento o inesatto adempimento delle obbligazioni di fare professionale e nell’ambito della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. (anche da mobbing). Seppur non condivisibile (v. retro par. 3.1), la ricostruzione giurisprudenziale più recente, attraverso l’ampio richiamo alle presunzioni ex art. 2729 cod. civ., impone la prova del nesso causale cd. materiale e fa gravare sul creditore l’onere non solo di allegare, ma anche di dar prova delle specifiche circostanze di fatto dalle quali possa ricavarsi, in via inferenziale, che il comportamento del debitore (asseritamente inadempiente) abbia cagionato l’evento dannoso. Senonché la concreta applicazione dei requisiti della prova presuntiva, finisce, nella sostanza, per imporre al creditore la dimostrazione indiretta dell’inadempimento (o meglio, dei fatti che concretano l’inesatto adempimento). Soltanto con riguardo alle prestazioni di fare dal risultato vincolato (o predeterminato ex ante), la prova del nesso eziologico richiesta dalla giurisprudenza più recente è data prima facie dall’idoneità ex se del comportamento allegato dal creditore a causare il pregiudizio dedotto in giudizio [164]. Non tutte le obbligazioni di fare professionale sono però a esito incerto; in tal caso è di fatto riesumata, a fini probatori, la dicotomia obbligazioni di mezzi (ora di diligenza professionale ovvero dall’esito incerto) e di risultato (ora di dare o fare non professionale ovvero dall’esito vincolato) priva di basi normative, che impone al creditore di fornire la prova dell’inadempimento, sia pure con l’attenuazione derivante dall’uso massivo e talora imprevedibile [165] di presunzioni. In [continua ..]


NOTE