Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il divieto di pratiche commerciali scorrette nella formazione dell'accordo. Brevi osservazioni in tema di rinegoziazione (di Daniela Santarpia, Assegnista di ricerca in Diritto privato – Università degli Studi di Siena)


Le pratiche commerciali scorrette, nella loro eterogeneità, potrebbero esibire un fenomeno di graduale annichilimento del valore del consenso del consumatore in sede di formazione del contratto.

Assunta la descritta prospettiva problematica, l’autrice riflette sull’effettività del rimedio della rinegoziazione dei contratti di durata conclusi per effetto di una pratica commerciale ingannevole.

The prohibition of unfair commercial practices throughout contract formation. Brief remarks on renegotiation

Unfair commercial practices, in their heterogeneity, may produce phenomena of gradual annihilation of the consumer's consent value to reach the agreement.

Based on this premise, the author reflects whether the renegotiation is an effective remedy for long-term contracts obtained by misleading commercial practices.

COMMENTO

Sommario:

1. Il valore dell’accordo nello scenario della contrattazione consumeristica - 2. Le pratiche commerciali scorrette - 3. Segue. L’omissione ingannevole di informazioni - 4. La correzione del regolamento contrattuale e gli interessi delle parti - 5. Limiti e criticità del rimedio della rinegoziazione - 6. Una postilla - NOTE


1. Il valore dell’accordo nello scenario della contrattazione consumeristica

Nel polittico dei rimedi contro le pratiche commerciali scorrette a tutela dell’interesse individuale del singolo consumatore che ne sia rimasto concretamente leso [1], l’angolo visuale che si intende prescegliere orienta la riflessione verso la considerazione del fenomeno della formazione del contratto. Il percorso di indagine, che si vuole tracciare nel presente scritto, rimanda alla più tradizionale delle riflessioni sistematiche: il riferimento corre al dibattito intorno al rapporto tra la volontà dei contraenti e la produzione degli effetti giuridici che dal contratto discendono. Si tratta di un tema ricorrente nella speculazione scientifica della metà degli anni Novanta del secolo scorso e che potrebbe sottendere, con sfumature e portata differenti, anche alcuni degli snodi problematici del «nuovo diritto dei contratti». Benché la disciplina di diritto europeo sembrerebbe veicolare l’idea per cui i contratti tra consumatori e professionisti si caratterizzino per una perdita di rilevanza del momento della volontà dei contraenti, l’inter­prete è chiamato ad affrontare e risolvere i problemi che in concreto potrebbero affiorare in ordine alla tutela del volere preposta a garantire un ordinato sviluppo dell’autonomia privata. L’emersione di questa esigenza di analisi è ulteriormente suffragata dalla previsione, a livello normativo, di tecniche di tutela volte a fronteggiare situazioni di asimmetria informativa o di squilibrio normativo e che il Legislatore ha indirizzato sul piano della sottoposizione a controllo del contenuto del contratto ovvero su quello della previsione del diritto di recesso [2] e dell’obbligo di informazione [3]. Dunque, la tendenza – da più voci sostenuta – di ridurre il contratto alla sua essenza, che ne ha suggerito l’assimilazione ad un vero e proprio osso di seppia [4], resta contraddetta dalla più convincente prospettiva che ha consentito di far emergere la necessità di una indispensabile valorizzazione della volontà dei contraenti [5]. Nella transizione al diritto europeo è stata individuata l’origine di un contratto in trasformazione; ciononostante non è dato rinunciare alle categorie giuridiche, in quanto esse assicurano la continuità dell’inter­pretazione del diritto [6]: in questo senso, è [continua ..]


2. Le pratiche commerciali scorrette

Nel solco di queste premesse, l’oggetto della riflessione riguarda il rapporto tra pratiche commerciali scorrette e contratto. Circoscrivere sin da subito l’àmbito dell’indagine significa scongiurare il rischio legato al difetto delle premesse: infatti, se l’analisi rinuncia alla previa concretizzazione delle ipotesi problematiche e, al contrario, si fonda sull’esasperazione della fattispecie rispetto all’effetto che essa è idonea a realizzare, allora la ricerca sarà condizionata negli esiti, che conseguentemente saranno discutibili. Anche senza indulgere alla ricostruzione del substrato sistematico, ma già solo sul piano fenomenologico, potrebbe apparire opportuno procedere a una disarticolazione delle condotte integranti una pratica sleale, evidenziando come le soluzioni rimediali possano mutare in ragione del tipo di violazione posta in essere dal professionista, nonché in ragione delle specifiche modalità di conclusione del contratto. L’esigenza di perimetrazione della fattispecie concreta, cui riferire queste brevi riflessioni, è il precipitato più evidente della tecnica di normazione: nel dettato legislativo, la definizione di slealtà appare vaga, elusiva o, com’è stato detto, povera di contenuto. [22] La nozione di pratica commerciale scorretta è affidata a una clausola generale, la cui concretizzazione si realizza mediante un’integrazione valutativa del precetto normativo, che attribuisce all’interprete lo strumentario per accertare se la prassi seguita dall’impresa sia idonea a falsare la scelta economica del consumatore medio, producendo una decisione negoziale non autentica e, in ogni caso, non conforme all’utilità marginale che la parte debole intende realizzare mediante l’operazione economica concretamente posta in essere. Il legislatore sembra voler ancorare il giudizio di disvalore della condotta del professionista all’assunzio­ne di un parametro standardizzato, rappresentato dalla scelta del consumatore medio, limitando il proprio intervento ai casi in cui la pratica scorretta non abbia semplicemente sollecitato, ma addirittura forzato, una determinazione che il consumatore altrimenti non avrebbe assunto [23]. Lo scritto, in chiave propositiva, muove verso un tendenziale allontanamento dal riferimento, già positivizzato, al «consumatore [continua ..]


3. Segue. L’omissione ingannevole di informazioni

Anche se non può revocarsi in dubbio la sapiente osservazione secondo cui «ben poco resti dell’ac­cordo, inteso in senso classico» [37], l’ampliamento dell’orizzonte ermeneutico non deve indurre ad abdicare ai concetti dogmatici [38]. Dopo aver adottato il metodo giuridico appena evocato, l’interprete è chiamato a saggiare se la semplificazione del procedimento di formazione cui soggiace il contratto del consumatore riscontri nella legge «un riequilibrio in tutele specifiche» [39], che possano assicurare alla dichiarazione di essere conforme a un ideale regolatorio [40]. In quest’ottica e con riferimento al caso in cui il consenso del consumatore sia stato in concreto inciso dalla pratica commerciale scorretta, appare ipotizzabile la previsione di una pluralità e flessibilità dei rimedi, tra l’altro rese necessarie dalla circostanza per cui la disciplina delle pratiche commerciali sleali accomuna categorie e concetti tra loro assai eterogenei [41]. Ciò posto, il rigore della riflessione impone di definire a quale condotta vietata al professionista si intende riferire il ragionamento che in questa sede si sta conducendo: una costruzione razionale complessiva del quadro dei rimedi non può esimersi dal differenziare le soluzioni a seconda della condotta vietata cui si intende reagire. Esigenze di certezza applicativa inducono chi scrive a precisare che l’operatività del rimedio, su cui nel prosieguo ci si soffermerà, è limitata al caso in cui la pratica commerciale scorretta, sub specie di omissione ingannevole di informazioni, abbia condizionato la scelta economica del consumatore di concludere, a certe condizioni, un contratto a lungo termine con il professionista. Ma, nell’ambito della proposta avanzata un ulteriore grado di differenziazione delle soluzioni deriva dal contenuto informativo che, in concreto, risulta non comunicato alla controparte, dal momento che ciascuna condotta omissiva determinerà nell’economia e nel contesto del contratto individualmente concluso dal consumatore uno specifico problema [42]. Certo, la prospettiva che tende a rifuggire dalla generalizzazione potrebbe celare, e di tanto si è consapevoli, gli inconvenienti propri di qualsivoglia approccio, per così dire, «situazionale», che tenti di ricostruire, in via [continua ..]


4. La correzione del regolamento contrattuale e gli interessi delle parti

La disciplina delle pratiche commerciali sleali, in punto di riprovazione delle omissioni ingannevoli, intende assicurare la libertà nella formazione del contratto, che assume una particolare rilevanza nella misura in cui l’attuazione dell’interesse protetto del consumatore deve derivare direttamente dal consenso che, quando validamente espresso, è idoneo a far discendere gli effetti del contratto direttamente dal suo contenuto. La formazione del consenso, intesa come fatto storico, non è facilmente apprezzabile nella dimensione fenomenica; ma essa appare, forse, difficile da sostenere anche in via sistematica. Ciononostante non si può rinunciare alla tutela della volontà, che «è da ritenersi a presidio di ogni strumento di autonomia» [52]. Quest’ultima si declina anche nella libertà di determinare il contenuto del contratto, la quale non esige necessariamente un paritario grado di partecipazione dei contraenti alla materiale creazione delle regole contrattuali, ma si traduce nella libertà di valutare, e quindi di scegliere, un certo contenuto, ossia un certo assetto di interessi di cui risultino ben individuati i diritti e i doveri che ne dovranno scaturire [53]. La costruzione del regolamento contrattuale ad opera delle parti è attività sorretta dalla disciplina delle pratiche commerciali sleali, suscettibile di essere apprezzata nei termini di un intervento legislativo sulla giustizia del contratto, che è innanzitutto procedurale, per poi riverberarsi sul contenuto. In questa dimensione, la tutela dell’interesse alla partecipazione consapevole alla formazione del contratto diventa indirettamente mezzo per la realizzazione di un equo assetto degli interessi reciproci e della proporzionalità dei sacrifici. Occorrerebbe chiedersi se le cautele apprestate dal Codice del consumo al fine di conciliare il difetto di potere contrattuale delle parti, soprattutto nella fase delle trattative, con lo schema dell’atto di autonomia privata, come regola costruita e adottata dalle parti in cooperazione, siano idonee a realizzare la tutela del consumatore, assorbendo il problema della giustizia sostanziale del contenuto del contratto. Soltanto dopo aver riletto il fenomeno sotteso alla contrattazione consumeristica alla luce della dialettica tradizionale «fatto-effetti del contratto», sarà dato comprendere le [continua ..]


5. Limiti e criticità del rimedio della rinegoziazione

La relazione tra disciplina delle pratiche commerciali sleali e disciplina delle clausole vessatorie si presta ad essere ricostruita in termini di complementarità dei rimedi e di interferenza degli ambiti di controllo [76]. Se si condivide l’assunto, si può ragionare sull’operatività delle soluzioni già apprestate dalla giurisprudenza rispetto al problema delle conseguenze legate alla caducazione di una clausola vessatoria anche nel caso in cui una pratica commerciale ingannevole abbia inciso non tanto sulla sua decisione di concludere il contratto, quanto sulla scelta di aderire al contenuto di determinate clausole del relativo regolamento. Sia l’una che l’altra questione devono muovere da una premessa: ogni atto di autonomia privata, dunque anche quello che, per le sue caratteristiche, è regolato dalla disciplina consumeristica, deve essere inteso come una sintesi tra il suo contenuto e gli effetti che da esso discendono [77]: il contratto è la risultante del profilo strutturale dell’accordo in uno alla sua dimensione funzionale e dinamica [78]. La considerazione rappresenta la premessa sistematica sulla quale si innesta la soluzione rimediale che in questo scritto si intende promuovere. La stretta commisurazione tra volontà delle parti ed effetti del negozio costituisce il sostrato logico non solo della questione relativa all’integrazione del contratto, ma anche di quella relativa alla possibilità di una «riedizione» del regolamento contrattuale, sulla premessa della legittimità del principio giuridico della revisione del rapporto [79]. Il rigore e la serietà dell’analisi tengono sempre vivo lo scetticismo dell’interprete, che non può ignorare che questo meccanismo rimediale è tale da celare più di una criticità, di cui peraltro sembra avere contezza anche la Corte di giustizia quando essa prospetta questa soluzione per il caso del post-vessatorietà. L’opzione rimediale dell’auto-integrazione, sperimentata dalla giurisprudenza per ovviare alla lacuna determinatasi a seguito della caducazione della clausola vessatoria, è stata instradata anche dalla considerazione dei limiti che si riconoscono alla soluzione dell’etero-integrazione mediante il diritto dispositivo. In primo luogo, l’applicazione in via suppletiva del diritto dispositivo [continua ..]


6. Una postilla

Anche a voler ritenere che «non sia più tempo di diritto privato generale» [101] o che, in maniera più convincente, «nuovi siano i luoghi di una parte generale del contratto» [102], ciononostante deve affermarsi – e senza la preoccupazione che questo ragionamento si esponga all’empiria di un travaso causale di norme e principi [103] – che tra contratto e accordo «non c’è sineddoche: qui la parte, ossia l’accordo, è proprio il tutto. Ogni fuga o congedo da esso minerebbe alle fondamenta la categoria stessa del contratto, determinandone la dissoluzione» [104]. E la particolare modalità di formazione dei contratti tra professionista e consumatore, se del caso per effetto di una pratica commerciale sleale, impone la necessità di un’operazione di ricostruzione e ricostituzione dell’accordo. Muovendosi entro il perimetro delle suggestioni rivenienti da quella concezione novecentesca secondo cui il volontarismo è temperato, ma non escluso, dai principi della responsabilità e dell’affidamento [105], quest’operazione diventa sintomatica del fatto che «la fortezza del dogma del consenso rimarrà ancora a lungo inespugnata» [106], anche per l’acquisita idoneità a mettere ordine nelle relazioni tra la realtà economica e quella normativa. Sull’onda della tradizione, la volontà del consumatore si ammanta di un nuovo significato: essa «corrisponde alla pretesa di conformità della dichiarazione, di cui consta il contratto, al parametro normativo». Sulla base di questa premessa e valorizzando la teoria del negozio giuridico che sopravvive nella sua attualità [107] ben oltre la sola valenza storiografica alla quale si vorrebbe tentare di ridurla [108], volontà del consumatore e dichiarazione del professionista potranno combaciare, anche se tale coincidenza «non è uno stato di fatto da cui l’interprete debba muovere (come accadeva nel tempo dell’ermeneutica, nel quale la dichiarazione era per l’appunto uno stato di fatto), ma è il dover essere da perseguire nell’attuazione del sistema di tutele del consumatore» [109]. Cogliendo le suggestioni di chi teme che la fenomenologia del postmoderno si sostanzi, in realtà, in una sorta di [continua ..]


NOTE