Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

L'Europa dei codici o un codice per l´Europa? – una prospettiva tedesca (di Martin Schmidt-Kessel, Professore di Diritto privato – Università degli Studi di Bayreuth)


Il contributo riproduce la relazione tenuta dall’A. nell'ambito dell'incontro di studi sul tema “L'Europa dei codici o un codice per l'Europa?” svoltosi presso l'Università degli Studi di Pavia il 18-19 novembre 2022.

The Europe of codes or a code for Europe? A German Perspective

The contribution reproduces the report of the A. as part of the study on the theme “L’Europa dei codici o un codice per l’Europa?” held at the University of Pavia on 18-19 November 2022.

SOMMARIO:

1. Osservazioni preliminari - 2. L’esperienza tedesca con il BGB - 3. L’esperienza dell’integrazione del diritto europeo dei contratti e dei consumatori conseguente alla riforma del BGB del 2002 ed a quelle che l’hanno seguita - 4. Il prezzo del rifiuto del diritto comune europeo della vendita (CESL) - 5. La perdita di importanza delle codificazioni nazionali - 6. La prospettiva - NOTE


1. Osservazioni preliminari

Il tema di una codificazione europea del diritto civile mi sta molto a cuore [1]. Se mi aveste invitato qui 25 anni fa – quando il mio maestro Peter Schlechtriem era membro dello Study Group for a European Civil Code e dell’Accademia dei Giusprivatisti Europei pavese [2] ed io ero un giovane dottorando – avrei sicuramente tenuto una relazione molto diversa, piena di verve e di incoscienza giovanile: il Codice civile europeo – almeno per quanto riguarda il diritto delle obbligazioni, il diritto di proprietà e fors’anche il diritto delle successioni – era per me un vero e proprio ideale. E, all’epoca, ho strategicamente orientato tutta la mia ricerca accademica verso questo ideale. Con il lavoro di ridogmatizzazione dei risultati del diritto comparato svolto dalla Legge uniforme dell’Aia sulla vendita internazionale di merci e dalla Convenzione di Vienna sulla vendita (CISG) ad opera di Ernst Rabel e Ernst von Caemmerer, all’epoca era disponibile anche una metodologia adeguata; che già si era dimostrata valida nel lavoro di definizione dei principi elaborati da Ole Lando e dall’Istituto Unidroit (il c.d. Codice Bonell), e che ha raggiunto il suo apice con il primo lavoro del Gruppo di studio su un codice civile europeo: lo Study Group for a European Civil Code. Allo stesso tempo, è iniziato lo sviluppo sistematico del diritto privato comunitario nella prospettiva del diritto dell’Unione europea. Il fatto che il DCFR – così come il suo grande concorrente pavese, il Code Europeen des Contrats, conosciuto in Germania anche come “Codice Gandolfi” – non abbiano avuto successo ha molte cause, che verranno analizzate altrove. Una di queste, tuttavia, è certamente una debolezza dell’idea europea, come ha indicato Luigi Mengoni nella sua illuminante relazione tenuta nel 1992 in occasione del cinquantesimo anniversario del Codice civile italiano [3]. E così ogni volta che cambiamo i cavalli – modernamente, i mezzi di trasporto – cambiamo i sistemi legali: il mio viaggio da Bayreuth a Pavia mi ha portato attraverso tre sistemi nazionali (per tacere dalle particolarità della Baviera e del Sudtirolo). Oggi per me l’ideale rimane; ma la visione e le valutazioni sono diverse, più realistiche e più politiche. Tuttavia, resto dell’idea che una codificazione europea avrebbe [continua ..]


2. L’esperienza tedesca con il BGB

L’esperienza del Codice civile tedesco del 1896 – entrato in vigore il 1° gennaio 1900 – è ambigua. Con questo intendo riferirmi non tanto alla ben nota “vulnerabilità” del diritto civile tedesco durante l’epoca nazionalsocialista, dovuta alla sua “fuga nelle clausole generali” (Hedemann) [13] ed alla sua apertura ad una “interpretazione illimitata” (Rüthers) [14]. Mi riferisco piuttosto ai limiti tecnici ed alla relatività dei concetti esposti. Chiedo la vostra comprensione per i seguenti esempi. Per quel che concerne il diritto delle obbligazioni, i padri della codificazione avevano optato per la rinuncia – tecnicamente non del tutto realizzata [15] – ad una responsabilità per culpa generica; cioè, per una deviazione rispetto allo standard europeo continentale. Al contrario, avevano cercato di porre l’impossibilità dell’adempimento al centro della disciplina della violazione del contratto [16]. Ciò è durato solo fino al 1903 – cioè non più di tre anni – quando la giurisprudenza e l’accademia sono tornate alla responsabilità per culpa con l’istituzione della positive Vertragsverletzung, la violazione positiva del contratto [17] (qui bisogna evitare la parola “inadempimento”). Da allora, la prassi e la giurisprudenza si sono confrontate con la questione di come trattare i fatti nuovi o vecchi, e della loro posizione sistematica nel sistema complessivo, con opinioni molto diverse e conseguente incertezza giuridica [18]. Anche l’attenzione quasi teutonica – o addirittura la fissazione – del Codice civile tedesco per la pretesa di adempimento in natura si è rivelata poco utile: si potrebbe addirittura parlare di “feticismo” dell’adempi­mento nel diritto privato tedesco. Le soluzioni sempre più differenziate dei sistemi giuridici romanistici – ad esempio, per l’obligation de faire di cui all’art. 1142 Code civil vecchia versione, fino al 2015 si diceva che “se résout en dommages et intérêts en cas d’inexécution” [19] – non sono state adottate nel diritto sostanziale. Inoltre, i civilisti tedeschi di oggi hanno in gran parte dimenticato che il legislatore storico, come conseguenza della separazione [continua ..]


3. L’esperienza dell’integrazione del diritto europeo dei contratti e dei consumatori conseguente alla riforma del BGB del 2002 ed a quelle che l’hanno seguita

Nella storia del Codice civile tedesco, la grande riforma del 2002 è senza dubbio una delle tappe più importanti. Ciò vale ovviamente, in primo luogo, per le modifiche apportate al sistema del diritto delle obbligazioni, che si sono rivelate molto efficaci per quanto riguarda il passaggio alla Pflichtverletzung, la violazione del­l’obbligazione, come elemento centrale della violazione del contratto e, associato a questo, il passaggio dal cause approach a quello rimediale (il remedy approach), nonché per l’integrazione della disciplina sulla garanzia per vizi, anche per la compravendita, nella disciplina generale dell’inadempimento e della violazione dell’obbligo contrattuale. Questi cambiamenti nel sistema del diritto delle obbligazioni non sono, ovviamente, direttamente rilevanti per il nostro tema. Piuttosto, dal punto di vista della codificazione, è necessario affrontare preliminarmente altre questioni. Con l’inserimento di parti essenziali del diritto europeo dei consumatori nella codificazione civile, cioè nel BGB, il legislatore ha, sempre nel 2002, compiuto un passo decisivo verso una codificazione “ibrida” [28]. Con l’attuazione della direttiva sui ritardi di pagamento 2000/35/CE e della direttiva sulle clausole vessatorie 93/13/CEE nel diritto generale delle obbligazioni dei §§ 286 ss. e 305 ss. BGB, così come della direttiva sulle vendite al consumatore 1999/44/CE nel diritto generale delle vendite di cui ai §§ 433 ss. BGB 2002, il diritto privato generale del BGB è stato “europeizzato” in una misura fino ad allora sconosciuta. Inoltre, i concetti di “consumatore” e di “imprenditore” di cui ai §§ 13 e 14 BGB, nonché la direttiva 85/577/CEE sulle vendite a domicilio, la direttiva 97/7/CE sulle vendite a distanza e le parti relative al diritto contrattuale della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico sono stati integrati, in una parte separata, nella parte generale del diritto delle obbligazioni del BGB sui contratti con i consumatori di cui ai §§ 312 ss. e 355 ss. BGB 2002. Parimenti, la direttiva sul timesharing 94/47/CE è stata attuata con i §§ 481 ss. BGB e la direttiva 87/102/CEE sul credito al consumo – con la separazione dal prestito in natura che rimane affidati ai §§ 607 ss. – nei §§ 488 [continua ..]


4. Il prezzo del rifiuto del diritto comune europeo della vendita (CESL)

Coloro che sono spaventati dall’ampiezza dell’influenza europea sul più grande successo della scuola storica dovrebbero ricordare lo sforzo, la verve e le polemiche con cui è stata respinta la proposta della Com­missione per un diritto comune europeo della vendita (CESL), di gran lunga meno invasiva, al tempo (2011), per i sistemi giuridici nazionali [34]. All’epoca, un lettore imparziale avrebbe potuto credere che gli Stati membri avessero quasi salvato l’Occidente di civil law. Si ricorda che la proposta del 2011 prevedeva uno strumento opzionale con un meccanismo di opt-in messo a disposizione delle sole PMI. I contratti misti – come quelli che ora si stanno diffondendo in gran numero nell’ambito del diritto dei contratti digitali in attuazione della direttiva 2019/770 – sono stati esclusi fin dall’inizio. L’ambito di intervento europeo è stato quindi molto più ristretto che nel caso della Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di merci (CISG), istituita, invece, come regolamento di opt-out. Le strutture dei diritti contrattuali nazionali, che all’epoca non erano ancora state toccate, sarebbero rimaste autonome. Il regolamento sarebbe stato limitato all’acquisto di beni e contenuti digitali (insieme ai servizi accompagnanti) e non avrebbe riguardato i servizi digitali come il cloud o i social network, così come non avrebbe riguardato l’acquisto di software di funzionamento per il riscaldamento e altri impianti dell’im­prenditore, né il contratto di noleggio di un’autovettura che include un dispositivo di navigazione [35]. Anche se si considera corretto, in linea di principio, l’approccio adottato dalla Commissione Europea nel 2015 e notevolmente ampliato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, non si può trascurare il fatto che la proposta del 2011 avrebbe imboccato una strada che non avrebbe portato ulteriori cambiamenti strutturali – aperti o mascherati – nelle nostre codificazioni nazionali. I timori di deviazione potevano già essere dissipati nel 2011, data l’influenza relativamente ridotta della Convenzione di Vienna sulla vendita (CISG), senza decisioni politiche di vasta portata come la riforma tedesca del diritto delle obbligazioni 2002 o il Codice delle obbligazioni estone. Gli Stati membri e le legislazioni nazionali del diritto civile, [continua ..]


5. La perdita di importanza delle codificazioni nazionali

Il nuovo diritto contrattuale digitale in attuazione della direttiva 2019/770 e gli obblighi di aggiornamento delle nuove regole sulla vendita di beni – insieme agli atti giuridici successivi del Digital Markets Act, del Digital Services Act, del Data Governance Act, del Data Act, del Artificial Intelligence Act, nonché della direttiva estesa sulla responsabilità dei prodotti e della nuova direttiva sulla responsabilità per l’intelligenza artificiale – chiariscono qualcos’altro: l’oggetto dell’unificazione e della codificazione è cambiato. Non si tratta più di unificare il diritto privato esistente, le convinzioni dogmatiche di base e i principi di esperienza divergenti, ma di sviluppare congiuntamente un nuovo diritto privato in aree in cui mancano soluzioni consolidate nazionali ed europee. Ciò si riflette anche nelle nuove difficoltà metodologiche del diritto comparato per tutti i settori della digitalizzazione, che dovrebbe sempre precedere la standardizzazione europea: come si fa a confrontare sistemi giuridici che non hanno ancora affrontato le questioni da comparare? Come si fa a portare avanti il diritto comparato senza una legge che sia nata? La questione è ovviamente da approfondire in altra sede; qui interessa solo constatare l’assenza di portata e, ancor più, il radicamento culturale di decisioni e concetti consolidati [36]. Per inciso, questa constatazione non si applica solo alla digitalizzazione o all’altro megatrend legislativo dei nostri giorni, la sostenibilità. Piuttosto, in generale e per molte ragioni, possiamo affermare un cambiamento di paradigma su larga scala per il diritto dei contratti, che può essere più sinteticamente caratterizzato dal declino del contratto di compravendita con il suo sinallagma semplice. Il nucleo del diritto contrattuale si sta spostando dallo status alla funzione [37]. In primo luogo, ciò trasforma il contratto di compravendita stesso, innanzitutto con il “Ende des Gefahrübergangs” (la “fine del passaggio del rischio”) [38] attraverso i requisiti di durata o durabilità e gli obblighi di conservazione della qualità; poi con la trasformazione dei requisiti di conformità dell’oggetto d’acqui­sto da un concetto legato alla sostanza della cosa ad un concetto funzionale di conformità, [continua ..]


6. La prospettiva

Ma se così è, c’è spazio anche per la codificazione? E c’è spazio per una codificazione europea? Certamente non alla maniera dell’800 del ’900. Ma questo non significa che non sia possibile cercare fondamenti dogmatici comuni alla legislazione europea progressiva, sistematizzarla guidati da principi di base e, quindi, comprenderla e svilupparla meglio [44]. E perché dovremmo lasciare questo compito solo a Bruxelles e al Lussemburgo? Non siamo noi stessi abbastanza privatisti, civilisti e dogmatici, per riassumere i testi esistenti in modo degno di codificazione [45]? Ma non dobbiamo farci illusioni: una codificazione di questo tipo non sarebbe mai in grado di soddisfare la pretesa di completezza di un Codice civile, di un ABGB, di un Code civil o di un BGB [46], a meno che non abbandoniamo le nostre codificazioni nazionali a questo scopo, o non le apriamo in modo simile a quello che stiamo facendo in Germania – purtroppo necessariamente con fatica e dolore per i dogmatici classici – con il BGB dal 2002. Senza un’ulteriore significativa perdita di autonomia, non sarà più possibile raggiungere la completezza. Non dobbiamo nemmeno illuderci di poter prendere come punto di partenza i nostri soliti concetti dogmatici. Questo continuerà a complicare la comprensione e la resa dei testi europei. Ricordo bene come ad un collega tedesco sia sfuggito il principio di colpa in una presentazione sul DCFR; il grado della responsabilità era una via di mezzo tra la responsabilità oggettiva, l’obbligo di diligenza e l’esonero per forza maggiore. A quanto pare, non era a conoscenza delle differenziazioni italiane e francesi tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, motivo per cui nella discussione gli è stato fatto notare che il DCFR segue più o meno la soluzione francese con la differenziazione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. La dogmatica di una codificazione europea (presumibilmente solo settoriale) di quello che è un territorio nuovo anche per le nostre venerabili codificazioni deve piuttosto essere fatta dal basso, o buttom-up, con un neologismo ovviamente non solo tedesco. Dobbiamo sforzarci – come è stato proposto negli anni ’80 del secolo scorso da Peter-Christian Müller-Graff ed eseguito soprattutto per il diritto dei consumatori prima del 2008 [continua ..]


NOTE