Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Sulla rinuncia all'eredità da parte del chiamato nel possesso di beni ereditari e la necessità di inventario (di Valentina Viti, Assegnista di ricerca in Diritto privato – Università degli Studi di Bari Aldo Moro)


Lo scritto affronta il tema della rinunzia all'eredità da parte del chiamato nel possesso di beni ereditari, approfondendo la questione della necessità per tale soggetto di erigere l’inventario anche nell’ipotesi in cui rinunzi all'eredità entro il termine trimestrale di cui al primo comma dell’art. 485 c.c. Contestate le diverse ragioni addotte in dottrina al fine di negare tale necessità, si giungerà a sostenere l’applicabilità dell’acquisto ex lege dell’eredità di cui al secondo comma dell'art. 485 c.c. al c.d. rinunziante tempestivo, alla luce di una indagine volta a comprendere l'effettiva ratio delle previsioni normative richiamate e lo scopo a cui in esse l'inventario deve ritenersi preposto.

About the waiver of succession by the heir in possession of hereditary property and the burden of inventory

This article deals with the issue of the waiver of succession by the heir in possession of hereditary assets and explores the problematic of the burden to draw up the inventory even in the event that the heir renounces the inheritance within the quarterly term referred to in the first paragraph of Article 485 of the civil code. Disputed the various arguments of doctrine against this burden, it will come to support the applicability of the case of inheritance purchase referred to in the second paragraph of Article 485 of the civil code to the heir renounces the estate within the above deadline, in view of the effective ratio of the aforementioned provisions and the purpose for which the inventory must be considered assigned in them.

SOMMARIO:

1. Il problema dell’applicabilità del 2° comma dell’art. 485 cod. civ. all’ipotesi di rinuncia tempestiva da parte del chiamato all’eredità. Il contrasto delineatosi all’interno della giurisprudenza di legittimità - 2. Le posizioni della dottrina contrarie alla necessità di inventario. L’argomentazione letterale: la mancata ricorrenza di uno dei presupposti di operatività della fattispecie di acquisto ex lege dell’eredità. Critica. La permanenza della delazione in capo al rinunziante - 3. Segue. L’argomentazione funzionale: l’assenza di ragioni nell’onere di inventario in capo al rinunziante. Critica. Necessità di una corretta individuazione della generale funzione dell’inventario e della ratio dei primi due commi dell’art. 485 cod. civ. Rinvio - 4. Segue. La tesi dell’«obbligo» di inventario quale espressione della curatela del chiamato possessore e del venir meno di tale obbligo in capo al rinunziante per l’estinzione immediata dei poteri di amministrazione conservativa del­l’eredità. Critica. L’«onere» di inventario quale elemento estraneo alla gestione conservativa del patrimonio ereditario - 5. L’individuazione della ratio alla base della fattispecie di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. e la applicabilità del­l’acquisto ex lege dell’eredità in essa previsto al rinunziante tempestivo senza inventario - NOTE


1. Il problema dell’applicabilità del 2° comma dell’art. 485 cod. civ. all’ipotesi di rinuncia tempestiva da parte del chiamato all’eredità. Il contrasto delineatosi all’interno della giurisprudenza di legittimità

La questione della necessità per il chiamato nel possesso di beni ereditari [1], che intenda rinunciare efficacemente all’eredità, di fare l’inventario ha negli ultimi due decenni riacceso le attenzioni della dottrina, soprattutto a seguito di alcune pronunce di legittimità e di merito che, ponendosi in contrasto con quello che poteva senz’altro dirsi l’orientamento predominante, hanno riportato alla luce il tema in chiave problematica. Le disposizioni normative da prendere primariamente in considerazione sono quelle contenute nell’art. 485 cod. civ., in particolare nei suoi primi due commi, le quali, ponendosi in un rapporto di specialità rispetto alla disciplina generale di cui all’art. 519 cod. civ. [2], impongono al chiamato possessore di fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità, prevedendo che, decorso tale termine (prorogabile per ulteriori tre mesi con pronuncia del tribunale) senza che l’inven­ta­rio sia stato compiuto, il chiamato all’eredità debba essere considerato erede puro e semplice. Se dal riferito articolato normativo nessun dubbio è sorto, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, in merito alla operatività del previsto acquisto ex lege dell’eredità nell’ipotesi di rinunzia successiva al suddetto termine di tre mesi non preceduta dalla redazione dell’inventario entro lo stesso termine (c.d. rinunzia tardiva) [3], non altrettanto lineare è stata la soluzione a cui si è pervenuti con riguardo al caso del chiamato che rinunzi all’eredità entro i tre mesi dall’apertura della successione o dalla conoscenza della devoluzione senza fare l’inventario entro il medesimo termine (c.d. rinunzia tempestiva). Da un lato, infatti, chiara è risultata la lettera della norma nel senso di impedire la rinuncia tardiva, la quale sarebbe sicuramente inefficace in quanto, essendo trascorso il termine indicato senza erezione dell’inventario, al momento della rinuncia si sarebbe già perfezionata la fattispecie tipica di acquisto ex lege di cui all’art. 485, 2° comma, c.c [4]. Dall’altro lato, invece, più oscura e problematica si è rivelata la prospettabilità dell’efficacia di una rinuncia anteriore al decorso del [continua ..]


2. Le posizioni della dottrina contrarie alla necessità di inventario. L’argomentazione letterale: la mancata ricorrenza di uno dei presupposti di operatività della fattispecie di acquisto ex lege dell’eredità. Critica. La permanenza della delazione in capo al rinunziante

In dottrina, salvo qualche isolata voce favorevole alla necessità che l’inventario accompagni anche la rinuncia compiuta nel termine di tre mesi previsto dai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. [14], l’orientamento predominante si è, più o meno esplicitamente, espresso nel senso di ritenere possibile una rinunzia tempestiva senza inventario, la quale sarebbe pienamente valida ed efficace senza bisogno di alcun onere ulteriore, impedendo il compiersi dell’acquisto ex lege dell’eredità di cui al 2° comma dell’articolo richiamato [15]. La prima tra le diverse argomentazioni addotte da tale maggioritaria dottrina ha riguardato il venir meno, nel caso di rinuncia nei termini, di uno dei presupposti essenziali della fattispecie in esame [16], la quale, in base alla formulazione letterale dell’art. 485 c.c., si riferirebbe a colui che è “chiamato” all’eredità e che è nel possesso di beni ereditari. Sarebbe allora manifesto come destinatario della norma non possa essere colui che abbia rinunziato all’eredità prima che la fattispecie sia venuta a compiersi, in quanto con la rinuncia costui perderebbe retroattivamente, ex art. 521 cod. civ., la qualifica di chiamato, facendo in tal modo cadere uno degli elementi costitutivi della suddetta fattispecie ed ostacolandone definitivamente la realizzazione [17]. Le riferite osservazioni si ritiene non possano trovare immediato accoglimento, scontrandosi con la necessità di coordinare la norma di cui all’art. 521 cod. civ. con il disposto di cui al successivo art. 525 cod. civ. e con l’imprescindibilità di una analisi che tenga opportunamente in considerazione la questione degli effetti della rinuncia all’eredità e della qualificazione della revoca della rinuncia, al fine di comprendere se realmente il rinunziante perda la qualifica di chiamato. Rispetto a tali problematiche occorre rilevare come minoritaria sia rimasta la tesi secondo cui la rinuncia all’eredità comporterebbe un effetto estintivo della delazione (con conseguente venir meno della qualifica di chiamato in capo al rinunziante), effetto estintivo che sarebbe risolubile in virtù di un contrarius actus, dovendo, secondo tale indirizzo, qualificarsi la successiva accettazione del rinunziante ex art. 525 cod. civ. come una vera e propria revoca (tacita) [continua ..]


3. Segue. L’argomentazione funzionale: l’assenza di ragioni nell’onere di inventario in capo al rinunziante. Critica. Necessità di una corretta individuazione della generale funzione dell’inventario e della ratio dei primi due commi dell’art. 485 cod. civ. Rinvio

La seconda argomentazione addotta in dottrina contro la riferibilità dell’onere di inventario di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. al rinunziante tempestivo si è incentrata sulla affermazione di una ritenuta assenza di ragioni ed utilità nell’imposizione di un siffatto onere in capo al chiamato che rifiuti l’eredità [24]. Si è, in particolare, sostenuto che l’esigenza di tutela dei creditori del de cuius dal rischio di sottrazioni ed occultamenti di beni ereditari da parte del chiamato possessore, posta alla base della previsione normativa in esame da diversi autori [25] ed evidenziata dalla richiamata giurisprudenza minoritaria proprio al fine di giustificare la necessità di inventario anche nel caso di rinuncia entro il trimestre [26], non rappresenti, in realtà, un condivisibile argomento su cui fondare tale assunto. Oltre alla scarsa utilità pratica della soluzione, deducibile dalla considerazione per cui al chiamato che voglia sottrarre beni all’eredità basterà non inserirli nell’inventario, che, dunque, anche laddove eretto, non garantirebbe una efficace prevenzione dal rischio in discorso [27], centrale è risultata la constatazione per cui una adeguata protezione contro il pericolo di occultamenti o sottrazioni di beni ereditari sia già fornita da un’altra specifica norma, quella di cui all’art. 527 c.c., in base alla quale il chiamato che sottragga o nasconda beni ereditari decade dalla facoltà di rinunziare al­l’eredità e si considera erede puro e semplice, nonostante la sua rinunzia [28]. L’esistenza di quest’ultima disposizione potrebbe effettivamente rappresentare una valida ragione per reputare non convincente la riconduzione della ratio della norma di cui all’art. 485 cod. civ. ad una finalità di tutela dei terzi da occultamenti e sottrazioni di beni ereditari ad opera del chiamato possessore, ancor più laddove si aderisse all’opinione volta a ritenere applicabile l’art. 527 cod. civ. anche all’ipotesi di rinunzia già intervenuta [29]. È tale ultima opinione, del resto, quella che si ritiene di sposare sia perché, come già visto, il termine “chiamato”, contenuto anche in tale enunciato normativo, può riferirsi pure al rinunziante [30], [continua ..]


4. Segue. La tesi dell’«obbligo» di inventario quale espressione della curatela del chiamato possessore e del venir meno di tale obbligo in capo al rinunziante per l’estinzione immediata dei poteri di amministrazione conservativa del­l’eredità. Critica. L’«onere» di inventario quale elemento estraneo alla gestione conservativa del patrimonio ereditario

Tra le argomentazioni avanzate più di recente al fine di escludere che il chiamato possessore di beni ereditari sia tenuto all’inventario laddove rinunzi entro il termine trimestrale, si segnala l’opinione di una dottrina che, ritenendo la fattispecie di cui all’art. 485 cod. civ. volta ad ovviare ai rischi di dispersione del patrimonio ereditario connessi alla vacanza ereditaria, ha ricondotto l’onere di inventario ivi previsto nel­l’ambito dei più generali poteri di amministrazione conservativa dei beni dell’eredità riconosciuti al chiamato, sia o meno possessore, dall’art. 460 cod. civ. e al chiamato possessore dall’art. 486 cod. civ. [39]. Abbracciando la prospettiva secondo cui il chiamato sarebbe un curatore di diritto dei beni ereditari, obbligato, in virtù di un ufficio di diritto privato, al compimento degli atti conservativi previsti dalle richiamate norme [40], tale dottrina è giunta ad affermare che l’adempimento dell’inventario di cui all’art. 485 cod. civ. – non semplicemente un “onere”, bensì un vero e proprio “obbligo” per il chiamato possessore, in quanto espressione della “curatela” dello stesso – non sarebbe più dovuto in caso di rinuncia all’eredità da parte di tale soggetto [41]. La rinunzia, infatti, determinerebbe quale effetto estintivo immediato il venir meno dei poteri di gestione conservativa del chiamato ed il possessore di beni ereditari, in tal modo «sottraendosi alla curatela che gli spetta in quanto chiamato», si sottrarrebbe «anche all’obbligo di compiere l’inventario e alla sanzione incombente dell’acquisto ope legis della qualità di erede puro e semplice per il suo mancato adempimento nel termine di legge» [42]. La non accoglibilità di una siffatta argomentazione si ritiene discenda immediatamente dalla necessità di mettere in discussione l’inclusione dell’onere di inventario di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. entro il novero dei poteri di amministrazione conservativa dell’eredità spettanti al chiamato possessore. Ciò, innanzitutto, in considerazione della diversa connotazione strutturale delle situazioni rientranti nel quadro della gestione conservativa dei beni ereditari ex artt. 460 e 486 cod. civ. [continua ..]


5. L’individuazione della ratio alla base della fattispecie di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. e la applicabilità del­l’acquisto ex lege dell’eredità in essa previsto al rinunziante tempestivo senza inventario

Per dare una risposta all’interrogativo, che ha originato i dibattiti illustrati e le riflessioni che si è finora ritenuto di svolgere, ovvero al quesito circa la riferibilità dell’onere di inventario di cui al comma 1e 2 dell’art. 485 cod. civ. al chiamato che rinunzi nel termine ivi previsto, si reputa determinante prendere le mosse da una considerazione, spesso trascurata, quella per cui secondo unanime dottrina e giurisprudenza le disposizioni richiamate sono senz’altro applicabili al c.d. rinunziante tardivo, ossia a colui che provveda alla rinuncia dopo la scadenza del termine trimestrale. Comprendere le ragioni che sono alla base dell’operatività della fattispecie in discorso nell’ipotesi da ultimo indicata e, più in generale, la ratio che deve ritenersi giustificare la medesima fattispecie, si reputa, infatti, centrale e decisivo al fine di sciogliere il nodo della applicabilità della stessa al caso del rinunziante tempestivo. Una delle poche spiegazioni fornite in merito al presunto discrimen che dovrebbe delinearsi fra l’ipotesi della rinunzia intervenuta entro i tre mesi dall’apertura della successione e quella della rinunzia effettuata successivamente a tale termine si è incentrata sulla affermazione per cui la rinuncia tardiva dovrebbe qualificarsi come inefficace «non» per la «mancata redazione dell’inventario in quanto tale», bensì per il fatto che in tal caso sarebbe «già intervenuta la fattispecie tipica di acquisto ex lege di cui all’art. 485 cod. civ.», fattispecie il cui realizzarsi sarebbe, invece, impedito nella diversa ipotesi di rinunzia tempestiva [50]. Una siffatta argomentazione non può ritenersi soddisfacente. Innanzitutto perché sostenere che l’inefficacia dell’atto rinunziativo compiuto oltre il trimestre non dipenda strettamente dalla mancata erezione dell’inventario rappresenta una logica fuorviante, non coerente con la necessaria considerazione che nei primi due commi dell’art. 485 cod. civ. l’acquisto ope legis dell’eredità è fatto conseguire al ricorrere di una serie di presupposti, fra i quali quello della mancata redazione dell’inventario entro un certo termine, elemento quest’ultimo che, dunque, non può affatto reputarsi come privo di un immediato collegamento con [continua ..]


NOTE