Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Lo sfondo romanistico della Teoria generale del negozio giuridico (di Luigi Pellecchi, Professore ordinario di Istituzioni di diritto romano – Università degli Studi di Pavia)


Considerata un capolavoro della civilistica italiana del secolo scorso, la Teoria generale del negozio giuridico di Emilio Betti in che misura risente della formazione romanistica del suo autore? Il saggio affronta la questione distinguendo tra una presenza esplicita del diritto romano nell'opera e una presenza soltanto implicita, ma non per questo meno significativa. Nella prima modalità, i principi giuridici desunti dai testi romani, all’occorrenza riportati a una classicità puramente ideologica, segnalano occasionali precedenti o integrazioni di singole norme del codice, oppure concorrono alla confutazione sia di singoli assunti della dottrina coeva sia della tradizionale visione di fondo del negozio giuridico, ereditata dalla Pandettistica. La presenza latente del diritto romano è data invece dalla impalcatura stessa della Teoria generale, che Betti riprende da una precedente teoria del negozio applicata al diritto romano. Elaborata alla fine degli anni Venti, servendosi delle acquisizioni più recenti della dogmatica civilistica, questa “prima edizione romanistica” dell’opera s'impose immediatamente all’attenzione dei giuristi positivi sia per la visione anti-volontaristica del negozio giuridico che la animava sia per la densità sistematica della relativa analisi.

Emilio Betti's “Teoria generale del negozio giuridico” and its Roman Law Background

Considered a masterpiece of Italian civil law doctrine of the last century, to what extent is Emilio Betti’s Teoria generale del negozio giuridico affected by its author’s Romanist training? This paper tries to answer by distinguishing between an explicit presence of Roman law in the work and a merely implicit., but no less significant, presence. In the former way, legal principles inferred from Roman texts, occasionally restored to a purely ideological classicism, signal occasional precedents or additions to individual provisions of the italian Civil Code, or contribute to the refutation of both individual assumptions of coeval doctrine and the traditional underlying view of the “legal act”, that coluld be traced back to German pandectism and the doctrine of the “Rechtsgeschäft”. Instead, the latent presence of Roman law is given by the overall framework of the Teoria Generale, which Betti takes from an earlier theory of the “legal act” applied to Roman law. Elaborated at the end of the 1920s, making use of the most recent dogmatic models carried out by civil law jurists, this “first Romanist edition” of the work immediately caught the attention of legal scholars for the anti-voluntaristic view of the “legal act” that animated it and for the systematic density of its analysis.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Prologo: frammenti di una rappresentazione d’autore - 3. Verso la TGNG: la “primissima” edizione della dottrina del negozio - 4. Segue. Una immersione nella dogmatica in tre esempi - 5. Presenze del Corso del ’28 nella TGNG: l’ordito generale - 6. Segue. Dall’ordito alla riscrittura - 7. TGNG e forme della presenza esplicita del diritto romano: il precedente - 8. Segue. Brocardi e principi - 9. TGNG e critica testuale delle fonti romane - 10. Epilogo. - Appendice - NOTE


1. Premessa

Parlare di uno “sfondo romanistico” della Teoria generale del negozio giuridico (d’ora in avanti TGNG) implica che il diritto romano possa rappresentarsi come un che di marginale e distaccato, rispetto al centro dell’opera. Dal punto di vista di un ricorso diretto alle sue fonti, ciò è senz’altro esatto. Lo dimostra in modo plastico l’«Indice dei testi legislativi citati» della monografia di Betti. Nella prima edizione dell’opera, apparsa nel 1943, l’indice annovera undici passi del Digesto e uno delle Istituzioni di Giustiniano [1]. Nove anni dopo, con la seconda edizione, i passi del manuale imperiale salgono a quattro, quelli del Digesto a novantadue, e si aggiungono tre brani del Codice e quattro delle Istituzioni di Gaio [2]. Questo incremento non deve tuttavia trarre in inganno. Quantitativamente, perché quelli romani non raggiungono la decima parte delle citazioni «di legge» complessive [3]. Qualitativamente, perché il loro impiego, come si vedrà nella seconda parte del saggio (§§ 7-9), non si risolve mai in un reale confronto con il testo antico, la cui presenza resta perciò di superficie. Se si guarda al complesso delle fonti normative, intorno a cui lo studioso camerte intesse l’analisi del negozio, non c’è dunque dubbio che la TGNG si presenta come un’opera di diritto moderno, perfettamente in linea sia con l’oggetto complessivo di quel Trattato di diritto civile italiano redatto da diversi giureconsulti sotto la direzione di Filippo Vassalli, di cui essa era parte, sia con quella produzione civilistica dell’Autore che alla vigilia del ’43 risultava già piuttosto cospicua [4]. Tuttavia, è superfluo aggiungere che all’epoca Betti vantava una produzione ancora più cospicua di diritto romano [5]. Ed è notorio – per la celebre querelle metodologica che lo ebbe a protagonista [6] – che nello studio di questa materia egli spiccava per un impiego della dogmatica civilistica che andava ben oltre il tradizionale ricorso alle categorie della Pandettistica [7]. È dunque la strettissima compenetrazione dei due campi di ricerca dell’Autore, il civile e il romano, ereditati da una lunga tradizione di studi come «due facce di un fenomeno unitario» [8], a fare da sfondo alla prima parte [continua ..]


2. Prologo: frammenti di una rappresentazione d’autore

Al di là del ricorso esplicito alle fonti giuridiche antiche, quanto dunque deriva alla TGNG dall’esserne stato il suo autore anzitutto un romanista? Per meglio inquadrare il punto, prenderemo le mosse da due considerazioni retrospettive che lo studioso affidò alle proprie Notazioni autobiografiche [9]. «Lasciata la casa paterna nell’aprile del ’39, aveva trasferito con la mamma casa e libri a Roma. E qui, mentre continuava un lavoro affidatogli dal Vassalli e iniziato fin dall’estate del ’36 sulla teoria generale del negozio giuridico in diritto civile, fu nell’ottobre del ’39 chiamato dal ministro Grandi a partecipare alla elaborazione del quarto libro del Codice civile». «All’università di Milano riprese nel ’38-’39 l’insegnamento delle Istituzioni e, insieme, assunse come titolare quello delle Pandette, per essere nel frattempo venuto meno il compianto maestro e collega Carlo Longo. In quello e nei successivi quattro anni svolse con esegesi approfondita la intera teoria del negozio giuridico (nel ’40-’41: interpretazione, agere in fraudem, invalidità e inefficacia; nel ’41-’42: negozio condizionale; nel ’42-’43: interposizione di persona e rappresentanza): i cinque corsi si proponeva di raccogliere in volume per il trattato diretto da Albertario (ripubblicando in 2a edizione la teoria del negozio in diritto romano)». La prima Notazione – ben nota [10] – colloca l’avvio della stesura della TGNG nell’estate del ’36. La seconda sposta il focus due anni più tardi. Rientrato a Milano, dopo un anno d’insegnamento in Germania [11], Betti approfitta del passaggio alla cattedra di Diritto romano per svolgere cinque corsi esegetici dedicati ad altrettanti aspetti della dottrina del negozio giuridico [12]. Ciò che davvero rileva ai nostri fini è il progetto sotteso alla scelta dei temi dei corsi. Da un lato, Betti si proponeva di raccoglierne i risultati in un volume autonomo, che avrebbe dovuto pubblicarsi come parte di un Trattato di diritto romano il cui piano si andava in effetti annunciando proprio in quegli anni [13]. Dall’altro lato, una volta realizzato, il volume auspicato si sarebbe presentato come una «teoria del negozio in diritto romano», «in seconda edizione». È noto che dei [continua ..]


3. Verso la TGNG: la “primissima” edizione della dottrina del negozio

Prima di vedere più da vicino in che misura questa «base» e questa «sostanza» si ritrovino nella TGNG, conviene soffermare la nostra attenzione su alcuni caratteri fondamentali della dottrina bettiana del negozio, per come già appariva delineata nel Corso del ’28. In tal modo sarà anche più facile intendere come essa si inserì nel dibattito scientifico del tempo. È noto che nella stesura del Corso di Istituzioni di diritto romano Betti vedeva la «riprova» di come quella elaborazione dogmatica del diritto romano, della quale egli sarebbe tornato a difendere a più riprese «legittimità» e «opportunità», potesse fattivamente tradursi anche in un insegnamento istituzionale [21]. Perciò non sorprende che alla «riprova» in questione si estendessero le critiche di chi non condivideva l’indirizzo metodologico propugnato dall’Autore, dal lato dello studio storico del diritto romano. Se è scontato che il riferimento sia a Pietro De Francisci, meno noto è che proprio l’amplissima sezione dedicata nel Corso al negozio giuridico avesse attirato l’attenzione del contraddittore di Betti. Vale anzi la pena di riprodurne per intero il giudizio, che illustra icasticamente il carattere di fondo di questa parte della dottrina del giurista camerte: «Devo confessare che questo Corso, almeno per quanto riguarda la sezione III, appare piuttosto come un’interessante e in molti punti originale esposizione di teoria generale del diritto privato (nella quale il diritto romano entra molte volte soltanto per esemplificazione), che non come una ricostruzione del sistema dottrinale romano. Le caratteristiche tipiche di questo si trovano in codesto libro sommerse nella dogmatica moderna; sì che l’opera costituisce proprio la più bella dimostrazione dell’inopportunità del metodo propugnato dal Betti» [22]. Letto in una certa ottica, quello di De Francisci si può prendere come un giudizio ancipite. Rispetto al­l’oggetto del contendere, rappresentato dalla ricostruzione storica del diritto romano, una esposizione dove il proprium dell’esperienza antica finiva per essere sommerso e oscurato dal massiccio ricorso alla dogmatica moderna riceve un giudizio evidentemente negativo [23]. Al tempo stesso, proprio dal lato del [continua ..]


4. Segue. Una immersione nella dogmatica in tre esempi

Nel 1935, al momento di dargli quella veste tipografica di cui si è detto [29], Betti corredò il Corso di una bibliografia molto ampia, del tutto inusuale per gli standard dei manuali romanistici dell’epoca, anche per il suo aprirsi a quegli studi di diritto moderno da cui l’Autore traeva le categorie postpandettistiche utili alla ricostruzione storica dell’esperienza giuridica antica [30]. Apposte in apertura dei cinque capitoli che scandiscono la teoria del negozio giuridico, le note bettiane segnalano una decina appena di opere in lingua italiana, apparse prima del ’28 [31]. Va detto che il totale comprende sia vari studi su aspetti specifici [32] sia opere di taglio prevalentemente esegetico [33]. Il termine utile di paragone, rappresentato da esposizioni di carattere al tempo stesso generale e sistematico, viene così a consistere da un lato nel corso sui Negozi giuridici di Vittorio Scialoja [34], peraltro non scevro a sua volta di numerosi e ampi passaggi esegetici [35], e dall’altro lato dalle sezioni dedicate al negozio giuridico in sei manuali: quelli (in ordine cronologico) di Nicola De Crescenzio [36], Contardo Ferrini [37], Giovanni Pacchioni [38], Nicola Coviello [39] e Vincenzo Arangio Ruiz [40]. La differenza più banale, ma al tempo stesso macroscopica dei libri messi a confronto è rappresentata dalla estensione che la dottrina del negozio vi prende. Neppure trenta pagine per Arangio Ruiz; una sessantina per De Crescenzio, una ottantina per Ferrini e Pacchioni. Tenendo conto della diversa resa di stampa (lito-e tipografica), solo nelle circa centotrenta pagine di Coviello si trova una disamina manualistica latamente avvicinabile all’estensione della dottrina del negozio nel Corso di Betti, la quale, a sua volta, è prossima alle dimensioni di un corso monografico come quello di Scialoja [41]. Se dall’astratto del numero di pagine si scende poi al concreto dipanarsi della trattazione, si constata facilmente perché l’organicità del discorso bettiano si presentasse un po’ come un unicum nel panorama della manualistica italiana. Tre esempi basteranno. Il primo si riferisce all’invalidità del negozio. De Crescenzio e Arangio Ruiz non vanno oltre la dicotomia tradizionale tra nullità e annullabilità [42]. Con Scialoja prima, e Ferrini e [continua ..]


5. Presenze del Corso del ’28 nella TGNG: l’ordito generale

Nel 1928, una teoria del negozio giuridico elaborata in via di principio per un corso di diritto romano, ma ricorrendo a una impalcatura concettuale tanto densa da permettere al diritto romano di affacciarvisi «molte volte soltanto per esemplificazione», come sosteneva De Francisci [64]. Nel 1935, una silloge di questa stessa teoria, in edizione finalmente tipografica [65]. Nel mezzo, una decina di saggi su aspetti specifici della disciplina del negozio, che spaziano dal diritto romano, a quello civile e commerciale, al diritto processuale [66]. Il tutto coronato dalla voce ad hoc per l’Enciclopedia Italiana [67]. Ricapitolando, è questo il complesso di una produzione che nella seconda metà degli anni ‘Trenta permette di guardare a Betti come a uno studioso capace d’interpretare meglio di altri un tema tradizionalmente di competenza dei romanisti – civilisti, il cui studio nel frattempo era tuttavia venuto estendendosi «ai pubblicisti di tutti i rami» [68]. Ma la fonte da cui tutta questa produzione si dipana, cioè appunto la dottrina del negozio affidata al Corso del ‘28, in che misura ha poi concretamente influenzato la stesura della TGNG? Arrivati infine alla domanda lasciata in sospeso al principio del § 3, è d’obbligo premettere che solo un esame delle due opere che fosse al tempo stesso analitico e completo permetterebbe per davvero di rispondere. Dato che nelle prossime pagine non si riuscirà a proporre più di qualche esempio, va da sé che le conclusioni che trarremo non si possono generalizzare. Al netto di questo caveat, va detto però che l’immagine che questi esempi rimandano del Corso del ’28 è quella di un’opera che ha offerto alla TGNG innanzitutto l’ordito generale, e in secondo luogo il testo stesso a partire dal quale riscriverne singole parti. Per quanto riguarda l’ordito generale dei temi, il lettore troverà in Appendice una tabella che ne mette a confronto lo snodarsi nel Corso e nella TGNG (quest’ultima in seconda edizione). Dalla tabella emerge chiarissimo che il percorso tracciato nel ’28 è rimasto sostanzialmente invariato. Una volta messa in campo la sua personale concezione dell’autonomia privata [69], Betti imposta uno svolgimento in due tempi, tutto teso a superare il c.d. dogma della volontà [70]. [continua ..]


6. Segue. Dall’ordito alla riscrittura

L’eredità del Corso del ’28 non è però di natura soltanto sistematica. Come si avvertiva, se dal piano dell’ordito generale dei temi, si scende a quello del loro concreto svolgimento, ci si accorge che nello stendere la TGNG Betti ha tenuto più volte come base del discorso la dottrina esposta a suo tempo, aggiornandola in vario modo e in varia misura alle mutate necessità e alla nuova destinazione dell’opera. Un esempio particolarmente significativo di questa riscrittura [82] s’incontra alla fine del terzo capitolo dell’opera, allorché l’Autore, per completare l’esposizione della Funzione del negozio giuridico, affronta il problema dei negozi astratti, dirottandone l’esame dalla sedes originaria del ’28 [83]. Nella veste definitiva, assunta con l’edizione del ’52, il tema è svolto secondo una sequenza sostanzialmente tripartita. In primo luogo, ci si chiede in che cosa si distinguano dogmaticamente i negozi astratti da quelli causali. Quindi, in che misura un negozio astratto possa comunque far registrare una rilevanza (diretta) della causa. Infine, in che misura negozi che escludano la (diretta) rilevanza della causa possano trovare spazio nel diritto positivo [84]. Le pagine elaborate da Betti per l’edizione del ’28 tornano utili per comporre la prima parte del discorso. Ne riproduco di seguito il testo, così come appare nell’edizione del ’52, marcandone le scansioni interne con indicazioni progressive, che ne agevoleranno il commento. La sequenza di lettere corsive (a, b, c …) indica le porzioni di testo riprese senza modifiche sostanziali dal Corso. La sequenza in numeri latini (i, ii, iii …) indica le porzioni aggiunte con la TGNG. «[I] Secondo il carattere della funzione economico sociale che ne informa il contenuto, si possono distinguere negozi a titolo oneroso o gratuito e negozi inter vivos o mortis causa. Ma di questa distinzione si tratterà nel cap. V al § 39. Qui preme invece trattare di altra distinzione che si ispira al criterio della rilevanza, diretta o indiretta, della causa. [a] Sotto questo profilo i negozi si distinguono in causali e astratti secondo che la funzione economico sociale (causa) cui essi si informano sia, o meno, palesata e riconoscibile, dalla loro struttura per modo da caratterizzarne il tipo, e quindi spieghi [continua ..]


7. TGNG e forme della presenza esplicita del diritto romano: il precedente

Per chi si occupi della presenza del diritto romano nella TGNG, l’analisi dedicata ai negozi astratti si rivela utile non solo come esempio di riscrittura del Corso di Istituzioni del ’28. Essa costituisce anche il ponte ideale per lasciare questa presenza soltanto implicita del diritto romano, frutto del peculiare modo in cui Betti studiava e insegnava la materia, e venire al riscorso esplicito alle fonti giuridiche antiche. Si è già avvertito che da un punto di vista meramente quantitativo si tratta di un impiego senz’altro contenuto [92]. Nondimeno, è interessante verificare con quali finalità e sulla base di quali premesse teoriche i passi del Corpus Iuris e delle Istituzioni di Gaio concorrano al disegno della TGNG. Per rispondere a queste domande, cercheremo come prima cosa di inventariare le diverse forme d’im­piego dei testi romani da parte di Betti. E se partiremo dal paragrafo della TGNG dedicato alla differenza tra negozi astratti e causali, è perché esso concorre con due diverse classi di esempi all’inventario che ci proponiamo. Come si accennava più sopra, una volta fissato il punto dogmatico che nei negozi astratti non si ha una preterizione completa della causa, bensì una sua rilevanza soltanto indiretta, la TGNG avverte che questa differenza, così netta in via di principio, non deve essere assolutizzata. «Il grado di rigore e di intensità del­l’astrazione» – spiega Betti – può risultare maggiore o minore sulla base di «considerazioni di opportunità politico-legislativa, che variano dall’uno all’altro diritto positivo e possono anche variare dall’uno all’altro negozio» [93]. Per esemplificare l’assunto con riguardo al diritto positivo italiano, l’Autore rinvia ai limiti che la c.d. astrazione delegatoria incontra nel Codice civile. Il rinvio è all’art. 1271, comma 2, e dunque alla norma che permette al delegato di opporre al delegatario l’inefficacia del rapporto di provvista (tra il delegato stesso e il delegante), quando risulti contemporaneamente nullo pure il rapporto di provvista (tra delegante e delegatario). In nota Betti segnala che la disposizione del Codice trova il proprio «precedente storico» in un intervento di Salvio Giuliano, tràdito attraverso due diversi luoghi del [continua ..]


8. Segue. Brocardi e principi

Nei casi considerati nel precedente paragrafo, non c’è dubbio che il diritto romano concorra direttamente con le sue soluzioni alla tessitura della TGNG. Si sarà però intuito – dagli insistiti richiami alla necessità che il lettore venga da solo a capo della fonte giuridica antica – che la cosa avviene a scapito di qualsiasi specificità delle soluzioni romane, delle quali nemmeno il testo viene in realtà riprodotto. Ciò di cui il lettore della TGNG dispone è insomma niente più che l’indicazione di un determinato passo, in genere del Corpus Iuris, selezionato e inquadrato per quel tanto che ne richiedono il posto e il ruolo assegnatogli nel sistema. Nella sostanza – e al netto di numeri che sono assolutamente incomparabili – quello che viene ripreso è insomma il modello del Sistema di Savigny e della Pandettistica [101], incluso quel «salutare principio della divisione del lavoro», come ebbe a definirlo proprio Savigny, che fa sì che ogni questione storica o di critica del testo vada rimessa a indagini ad hoc [102]. Sotto questo profilo, le cose non mutano in modo significativo nemmeno nelle forme ulteriori che può assumere nella TGNG il ricorso diretto al diritto romano. Oltre a segnalare eventuali precedenti, sia di norme del Codice sia di fattispecie non codificate, Betti si serve infatti delle fonti antiche come di un serbatoio di principi utili a illustrare a mo’ di brocardo singoli aspetti della dottrina del negozio, specie quando una certa configurazione dogmatica, proposta dall’Autore, confligga con quella di altri. Va detto peraltro che se nella modalità “precedente” riesce al lettore piuttosto agevole, una volta recuperato il testo romano, recuperare anche la connessione tra la fattispecie antica e quella moderna, quando si entra nella modalità “brocardo” la pertinenza non risulta sempre così immediata. Di seguito, alcuni esempi nell’uno e nell’altro senso. Per difendere il ricorso in materia testamentaria all’interpretazione c.d. conservativa, Betti si serve della massima “plenius voluntatem testantium interpretamur” [103]. La pertinenza della regula si coglie da sé. Così come va da sé che il principio “qui bis idem promittit ipso iure amplius quam semel non tenetur” possa tornare [continua ..]


9. TGNG e critica testuale delle fonti romane

Un discorso sulle forme del ricorso al diritto romano nella TGNG non potrebbe essere completo senza un cenno alla questione dell’interpolazionismo e al personalissimo modo in cui Betti interpretò questo momento cruciale della ricerca romanistica. Beninteso, non può essere questa la sede per un’analisi che investa la produzione scientifica dell’Autore nel suo complesso. Piuttosto, si tratta di dar conto di come si riverberi nel concreto della TGNG quello che una serie di studi ha già rilevato in via generale, vale a dire che lo studio delle interpolazioni diventa in Betti un mezzo per rafforzare su un (preteso) piano storico la necessità di un aggiornamento delle categorie pandettistiche, rivendicando «una più netta attualità al diritto classico» rispetto al diritto giustinianeo e ai suoi lasciti ottocenteschi [110]. In altre parole, il giurista camerte si serviva della ricerca delle interpolazioni come di uno strumento per rafforzare la dogmatica postpandettistica del diritto civile. Data l’impostazione, non stupisce vederne i riverberi anche nella TGNG. Nell’opera, le modifiche che i giustinianei avrebbero introdotto nei testi classici, al momento di recepirli nel Digesto, vengono chiamate in causa innanzitutto a complemento di quel ricorso diretto alle fonti romane di cui si è detto nei paragrafi precedenti. Dunque, con l’intento di rafforzare questa o quell’altra configurazione di specifici punti della dottrina del negozio [111]. Al tempo stesso, le interpolazioni assumono però un valore più generale, atteso che Betti se ne serve per attaccare alla radice quella visione volontaristica del negozio sulla cui presa di distanza è costruita, come si è visto, l’intera impalcatura della sua dottrina del negozio [112]. In questo secondo senso, anche come ultimo esempio della continua osmosi in cui si sostanziava per l’Autore lo studio del diritto romano e del diritto civile, è istruttivo il modo in cui la critica testuale delle fonti romane fa capolino nel paragrafo della TGNG dedicato in via specifica alla Critica del dogma della volontà [113]. Nella lunga polemica che Betti conduce sul punto, la storia dei dogmi entra giusto il tempo di segnalare il travisamento testuale su cui poggerebbe la definizione tradizionale del negozio giuridico, inteso come «manifestazione di [continua ..]


10. Epilogo.

La lunga disamina che il tema ci ha costretto a svolgere si può riassumere nelle seguenti proposizioni. Quella più generale è che non si può parlare di uno “sfondo romanistico” della TGNG senza prendere in considerazione una pluralità di piani. La presenza del diritto romano nell’opera è infatti multidimensionale, e dipende al tempo stesso sia dal peculiare approccio di Betti allo studio e all’insegnamento della materia sia dalle tradizioni culturali della disciplina, di cui anche uno studioso tanto peculiare non poteva non essere parte. Da un punto di vista per così dire autobiografico, non sembra azzardato dire che Betti stesso si rappresentava la TGNG come parte di un’opera binaria, il cui pendant stava nella dottrina del negozio giuridico dettata per il Corso milanese di Istituzioni di diritto romano del 1928; pendant romanistico che l’Autore aveva avuto in animo di aggiornare in seconda edizione, parallelamente alla stesura della TGNG (§ 2). Dal Corso del ’28 la TGNG recupera sia la concreta scrittura di singoli temi, concepiti fin dal principio per essere proiettati al di là del tempo storico del diritto romano (§ 6) sia due fondamentali caratteristiche che distinguono le pagine di Betti da quelle della manualistica del tempo. Da un lato, il capillare ricorso a una dogmatica civilistica parzialmente in fieri, nella misura in cui si proponeva di superare le categorie pandettistiche (§§ 3-4). Dall’altro lato, la generale chiave di lettura adottata, volta a presentare il negozio giuridico in una dimensione oggettivistica e anti-individualista, che a sua volta si traduceva in una innovativa organizzazione degli argomenti, rimasta anch’essa sostanzialmente immutata nel passaggio alla TGNG, a conferma della identità di base di una teoria in cui ha valore relativo che la si applichi al diritto romano piuttosto che al diritto civile (§ 5). Ispirato invece alla tradizione di Savigny e della Pandettistica è il ricorso diretto (anche se esiguo, quantitativamente) alle fonti romane. Esse sono sfruttate in una dimensione che rinuncia programmaticamente all’esegesi dei testi, per farne l’occasionale controcanto ora alle norme del Codice, per segnalarne alcuni precedenti o integrazioni (§ 7) ora alla dottrina coeva, quando occorra confutarla (anche) col ricorso ai principi romani (§ 8). Nella [continua ..]


Appendice

L’ordito della dottrina del negozio dal Corso di Istituzioni del 1928 alla TGNG del 1952 Legenda. cap. in cornice: tema assente in Corso ~.~.~ sezioni barrate: temi assenti in TGNG ~.~.~ i§§ in cornicei: espansione in TGNG di temi condensati in Corso ~.~.~ §§ evidenziati: temi compresenti in Corso e TGNG, ma con posizioni diverse.


NOTE