Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

L´attuazione dell´equilibrio contrattuale in ambito consumeristico (di Flora Pirozzi, Professore straordinario di Diritto privato – Università Telematica Pegaso)


La problematica analizzata dalla Corte di Giustizia UE inerisce all’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Il contributo offre l’occasione per riflettere non solo sui poteri del giudice sul contratto, ma anche per confrontare le posizioni ermeneutiche tra giudice interno ed europeo nella sfera della tutela consumeristica. Ci si domanda, in particolare, se il giudice nazionale disponga solo del potere di disapplicare la clausola abusiva, oppure abbia anche il potere di revisione del contenuto della stessa.

Si ritiene che si possa mirare non all’eliminazione del contratto, ma al recupero dell’eguaglianza fra le parti, entrando il giudice nel merito del regolamento contrattuale, pur nel rispetto del diritto unionale, così da rendere sterile il meccanismo a danno del consumatore posto in essere dal professionista. Occorre un’armonica convivenza tra fonti europee e fonti interne e un più deciso riconoscimento della veste del giudice nazionale in chiave europea.

Parole chiave: Contratto, consumatore, annullamento, nullità assoluta, nullità parziale, tutela, credito, clausole abusive.

The implementation of the contractual balance In the consumer sector

The issue analysed by the EU Court of Justice is inherent in art. 6 (1) of Council Directive 93/13 / EEC of April 5, 1993 concerning unfair terms in consumer contracts. This work offers an opportunity to reflect not only on the powers of the judge on the contract, but also to compare the hermeneutic positions between domestic and European judges in the context of consumer protection. In particular, the question arises whether the national court only has the power to set aside the unfair term, or whether it also has the power to review its content.

It is considered possible to aim not at the removal of the contract, but at the recovery of equality between the parties, putting the judge in charge of the contractual regulation, while respecting EU law, to make the mechanism sterile to the detriment of the consumer, put in place by the professional. We need a harmonious coexistence between European sources and internal sources and a more decisive recognition of the role of the national judge in a European key.

Keywords: Contract, consumer, annulment, absolute nullity, partial nullity, protection, credit, unfair terms.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile in un contratto di prestito come quello in questione nel procedimento principale, e qualora tale contratto non possa sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive in questione, l’annullamento di detto contratto avrebbe conseguenze particolarmente dannose per il consumatore, e non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, il giudice nazionale deve adottare, tenendo conto del complesso del suo diritto interno, tutte le misure necessarie per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento di detto contratto potrebbe provocare. In circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, nulla osta, in particolare, a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa allo scopo di fissare il metodo di calcolo del tasso d’interesse, purché determini il quadro di tali trattative e queste siano volte a stabilire tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale che tenga conto segnatamente dell’obiettivo di tutela del consumatore sotteso alla direttiva 93/13.

 

Corte di Giustizia UE, sez. I, sentenza 25 novembre 2020, C-269/19

Corte di Giustizia UE, sez. I, sentenza 25 novembre 2020, C-269/19

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La nullità parziale dei contratti con i consumatori nel diritto unionale - 3. Poteri correttivi dello squilibrio contrattuale da parte del giudice interno e la direttiva n. 93/13/CEE. Punti deboli della sentenza - 4. La nullità parziale “nuda” nella visione della Corte. Ambiguità e lacune - 5. Tra dissuasività di azione ed equilibrio contrattuale: adeguatezza della soluzione - NOTE


1. Introduzione

Il presente commento offre lo spunto per riflettere, da un lato, sull’estensione dei poteri del giudice sul contratto e, dall’altro, sulle relazioni tra interpretazione interna ed europea in materia consumeristica [1]. Al fine di comprendere la posizione assunta dalla Corte di Giustizia nella sentenza che si annota, appare opportuno ripercorrere i tratti salienti della vicenda giudiziaria oggetto del decisum. In particolare, la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori [2]. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Banca e un cliente in merito al presunto carattere abusivo e alla nullità assoluta di varie clausole contenute in un contratto di credito riguardante la concessione di un prestito personale concluso dal cliente presso tale istituto. Il 5 giugno 2007 un cliente stipulava un contratto di credito relativo alla concessione di un prestito personale presso la Banca. Tale contratto era garantito da un’ipoteca di primo grado, di importo pari ad euro 182.222, di cui euro 179.000 corrispondevano al prestito personale cosiddetto «Maxicredit» a tasso fisso per un anno ed euro 3.222 corrispondevano alla commissione di concessione di tale prestito, per un periodo di 300 mesi. Dalla decisione di rinvio è emerso che le seguenti clausole contrattuali erano applicabili a detto contratto: l’articolo 5 del contratto di prestito di cui trattasi prevedeva un tasso di interesse annuo del 7,4% per il primo anno del prestito, successivamente un tasso di interesse corrente corrispondente al tasso di riferimento variabile indicato nei locali dell’istituto bancario, maggiorato di 1,5 punti percentuali; conformemente all’articolo 2.6 delle condizioni generali di concessione del prestito allegate a tale contratto, durante il periodo del prestito, il tasso di interesse corrente poteva variare in funzione dell’evoluzione del «servizio unico del debito del cliente» nei confronti di detto istituto; in forza dell’articolo 2.10, lettera a), di tali condizioni generali, durante il periodo del prestito, l’istituto bancario poteva modificare gli interessi senza il consenso del mutuatario, in funzione del costo del finanziamento del prestito, e il [continua ..]


2. La nullità parziale dei contratti con i consumatori nel diritto unionale

È in corso una penetrante influenza del diritto unionale sui modelli di tutela civile [4]. L’esigenza di garantire l’effettività del diritto europeo ha assunto connotazioni sempre più penetranti come, tra l’altro, risulta inequivocabilmente dal formante giurisprudenziale europeo. Ciò ha creato un rapporto simbiotico, se così possiamo affermare, fra effettività del diritto in Europa ed effettività della tutela dei diritti riconosciuti in ciascuna Costituzione degli Stati membri. Pertanto, si pone l’attenzione sulle posizioni della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della giurisprudenza maturata nel singolo Stato membro, poiché hanno influenzato, non poco, il dibattito sulla nullità parziale all’interno della sfera della disciplina consumeristica sulle clausole vessatorie. L’indagine, avendo ad oggetto la compatibilità della disciplina codicistica della nullità con le nuove invalidità di protezione [5], ci ricorda, tra l’altro, quella tesi secondo la quale l’interprete, chiamato a decidere sulla propagazione della nullità parziale, svolge un’attività non d’interpretazione del contratto, bensì d’integrazione di atti di autonomia [6]. Il termine “integrazione” utilizzato allude ad un doppio significato, ossia di sottrazione o di aggiunta, la correzione del regolamento contrattuale può, infatti, avvenire anche mediante sottrazione [7]. A tal fine, giova distinguere tra una integrazione di supplenza all’autonomia privata, quando l’autonomia privata non si esplica in modo compiuto. L’integrazione di supplenza (o suppletiva) è di ausilio all’autonomia privata in quanto mira a riempire le lacune dell’autonomia privata stessa, consentendo al contratto di operare nella realtà economica [8]. L’integrazione, quindi, opera quando il contenuto adottato dalle parti, benché ricostruito nello scopo perseguito e valutato meritevole di tutela, risulti incompleto. Si ha integrazione di contrasto quando, pure essendosi l’autonomia privata esplicata in modo esaustivo ed in grado di compiutamente operare, esigenze e valori dell’ordinamento che impongono un intervento di opposizione all’assetto di interessi realizzato: è una integrazione antagonista che si impone [continua ..]


3. Poteri correttivi dello squilibrio contrattuale da parte del giudice interno e la direttiva n. 93/13/CEE. Punti deboli della sentenza

La problematica analizzata dalla Corte di Giustizia UE prende spunto dall’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, 5 aprile 1993, concernente le “clausole abusive” nei contratti stipulati con i consumatori. Con la pronuncia in commento, nell’ipotesi in cui un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore non possa sussistere, successivamente alla soppressione di una clausola abusiva [14], la Corte ha riconosciuto che l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale, in applicazione di principi del diritto contrattuale, sopprima la clausola abusiva, sostituendola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva in situazioni in cui dichiarare invalida la clausola abusiva obbligherebbe il giudice ad annullare il contratto nella sua interezza, esponendo, in tal modo, il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, sicché quest’ultimo ne sarebbe penalizzato. La decisione si apprezza, sotto alcuni aspetti, per gli spunti riflessivi, non soltanto sui poteri del giudice sul contratto, ma anche in chiave comparatistica, ossia sul confronto che ne deriva delle due diverse posizioni interpretative (giudice interno e giudice europeo) nell’ambito della tutela consumeristica. Allo stesso tempo, però, lascia intravedere i “vuoti” di un dialogo tra Corti Nazionali e Corte di Giustizia che, per forza di cose, reagisce a sollecitazioni puntuali, inserite in contesti determinati, non sempre del tutto accessibili in una prospettiva sovranazionale. È bene premettere che il giudizio di abusività produce differenti conseguenze a seconda che incida su una clausola “non essenziale” del regolamento contrattuale o, diversamente, su una clausola “essenziale” dello stesso. Di fronte ad un contratto affetto da clausola (essenziale) abusiva, quindi, squilibrato nelle prestazioni tra soggetto debole (consumatore) e soggetto forte (professionista), si possono intravedere due percorsi alternativi: o si chiede che sia caducato l’intero contratto, oppure si opta per la nullità parziale della sola clausola abusiva. Ebbene, “eliminare” la sola clausola abusiva sarebbe, prima facie, una soluzione adeguata a garantire, da un lato, la protezione per il consumatore e, dall’altro, a distogliere il professionista dal compiere condotte abusive. Applicare un meccanismo di [continua ..]


4. La nullità parziale “nuda” nella visione della Corte. Ambiguità e lacune

Per la Corte il potere di cui dispone il giudicante non potrà travalicare ciò che è necessario per “rispristinare” l’equilibrio contrattuale tra le parti e, quindi, per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento del contratto di prestito di cui trattasi potrebbe provocare. La Corte di Giustizia, sul punto, ha chiarito che: “Da un lato, il giudice deve garantire che possa essere ripristinata l’uguaglianza tra le parti contraenti che l’applicazione di una clausola abusiva nei confronti del consumatore abbia messo a repentaglio. Dall’altro, occorre assicurarsi che il professionista sia dissuaso dall’inserire siffatte clausole nei contratti che propone ai consumatori” [20]. Tale assunto sarebbe compromesso se il giudice si spingesse oltre ciò che è strettamente necessario a restituire equilibrio. Vediamo che il giudice chiamato a valutare se la nullità parziale sia valida come rimedio, non potrà agire, in tal senso, se non s’interroga sulle conseguenze della nullità sul concreto bilanciamento tra diritti e obblighi, alterato, ad esempio, dall’abuso del professionista. L’integrazione del contratto retrocede a co-elemento residuale della tutela consumeristica, soggetto al vaglio del giudice e al peso delle preferenze del consumatore. La sua ‘denegazione’ diventa la regola, la sostituzione della clausola l’eccezione. Questa nullità parziale definita ‘nuda’, perché svestita del complemento ‘naturale’, che il nostro art. 1374 [21] cod. civ. vede, in primis, nella legge e poi negli usi e nell’equità, è un rimedio quasi nuovo, pronto ad assumere una chiara funzione sanzionatoria. Su tale ultimo profilo è stato osservato che si tratta, per lo più, di clausole con cui si regolano le conseguenze penalizzanti dell’inadempimento del consumatore: una clausola penale, un interesse moratorio, una clausola risolutiva espressa. In tutte queste ipotesi la nullità nuda serve a privare il professionista del beneficio abusivamente acquisito mediante l’imposizione della clausola: la penale eccessiva, l’interesse moratorio sproporzionato, la risoluzione a fronte di un inadempimento di scarsa o scarsissima importanza [22]. L’effetto privativo della nullità [continua ..]


5. Tra dissuasività di azione ed equilibrio contrattuale: adeguatezza della soluzione

In questo trascolorare della tutela civile, verso orizzonti propri delle forme pubblicistiche di attuazione dei diritti, è importante riflettere sull’essenza della nullità parziale di stampo consumeristico: un rimedio che, inerente all’atto, punta al riequilibrio di posizioni individuali all’interno di una relazione strutturalmente diseguale. Se, dunque, effettività, proporzionalità e dissuasività sono, ormai, comunemente applicate tanto alle sanzioni quanto ai rimedi, il loro uso dovrebbe essere correlato alla natura e alla funzione primaria di ciascuna misura disposta dal giudice. Nel caso della nullità parziale, ciò significa garantire che, attraverso il rimedio, la parte protetta dalla nullità sia in grado di recuperare effettivamente le utilità perdute, di liberarsi dagli oneri o i rischi ingiustamente assunti, non invece che, in ragione di una funzione deterrente del rimedio, consegua arricchimenti ingiustificati o vada esente da responsabilità proprie. Del resto, il principio di proporzionalità non lo consentirebbe [27]. La questione che avvolge l’intero ragionamento del presente commento è comprendere, anzitutto, i limiti per il giudice nell’ipotesi in cui intervenga nel contratto stipulato dalle parti e se possa modificare ciò che le parti hanno pattuito, sulla base della loro autonomia (espressione massima dell’autodeterminazione). È bene considerare che, prima di giungere ai “principi” di diritto esplicitati con la sentenza in oggetto, la Corte parte dal presupposto che la direttiva 93/13/CEE si basa sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità informativa rispetto al professionista, situazione che lo può indurre ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter influire sul contenuto delle stesse [28]. Allora, partendo dalla distinzione tra integrazione suppletiva e cogente, occorre notare come la prima consenta di colmare i vuoti del regolamento contrattuale, viceversa, l’integrazione cogente non compensa un accordo assente, ma si aggiunge a un accordo che già esiste, ritenuto non meritevole di tutela dall’ordi­namento. Si ritiene che l’integrazione del contratto, che avvenga per opera del giudice, non andrebbe vista come un modo per “invadere” la volontà dei contraenti [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022