Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

L´attuazione dell´equilibrio contrattuale in ambito consumeristico (di Flora Pirozzi, Professore straordinario di Diritto privato – Università Telematica Pegaso)


La problematica analizzata dalla Corte di Giustizia UE inerisce all’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Il contributo offre l’occasione per riflettere non solo sui poteri del giudice sul contratto, ma anche per confrontare le posizioni ermeneutiche tra giudice interno ed europeo nella sfera della tutela consumeristica. Ci si domanda, in particolare, se il giudice nazionale disponga solo del potere di disapplicare la clausola abusiva, oppure abbia anche il potere di revisione del contenuto della stessa.

Si ritiene che si possa mirare non all’eliminazione del contratto, ma al recupero dell’eguaglianza fra le parti, entrando il giudice nel merito del regolamento contrattuale, pur nel rispetto del diritto unionale, così da rendere sterile il meccanismo a danno del consumatore posto in essere dal professionista. Occorre un’armonica convivenza tra fonti europee e fonti interne e un più deciso riconoscimento della veste del giudice nazionale in chiave europea.

Parole chiave: Contratto, consumatore, annullamento, nullità assoluta, nullità parziale, tutela, credito, clausole abusive.

The implementation of the contractual balance In the consumer sector

The issue analysed by the EU Court of Justice is inherent in art. 6 (1) of Council Directive 93/13 / EEC of April 5, 1993 concerning unfair terms in consumer contracts. This work offers an opportunity to reflect not only on the powers of the judge on the contract, but also to compare the hermeneutic positions between domestic and European judges in the context of consumer protection. In particular, the question arises whether the national court only has the power to set aside the unfair term, or whether it also has the power to review its content.

It is considered possible to aim not at the removal of the contract, but at the recovery of equality between the parties, putting the judge in charge of the contractual regulation, while respecting EU law, to make the mechanism sterile to the detriment of the consumer, put in place by the professional. We need a harmonious coexistence between European sources and internal sources and a more decisive recognition of the role of the national judge in a European key.

Keywords: Contract, consumer, annulment, absolute nullity, partial nullity, protection, credit, unfair terms.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile in un contratto di prestito come quello in questione nel procedimento principale, e qualora tale contratto non possa sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive in questione, l’annullamento di detto contratto avrebbe conseguenze particolarmente dannose per il consumatore, e non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, il giudice nazionale deve adottare, tenendo conto del complesso del suo diritto interno, tutte le misure necessarie per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento di detto contratto potrebbe provocare. In circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, nulla osta, in particolare, a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa allo scopo di fissare il metodo di calcolo del tasso d’interesse, purché determini il quadro di tali trattative e queste siano volte a stabilire tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale che tenga conto segnatamente dell’obiettivo di tutela del consumatore sotteso alla direttiva 93/13.

 

Corte di Giustizia UE, sez. I, sentenza 25 novembre 2020, C-269/19

Corte di Giustizia UE, sez. I, sentenza 25 novembre 2020, C-269/19

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La nullità parziale dei contratti con i consumatori nel diritto unionale - 3. Poteri correttivi dello squilibrio contrattuale da parte del giudice interno e la direttiva n. 93/13/CEE. Punti deboli della sentenza - 4. La nullità parziale “nuda” nella visione della Corte. Ambiguità e lacune - 5. Tra dissuasività di azione ed equilibrio contrattuale: adeguatezza della soluzione - NOTE


1. Introduzione

Il presente commento offre lo spunto per riflettere, da un lato, sull’estensione dei poteri del giudice sul contratto e, dall’altro, sulle relazioni tra interpretazione interna ed europea in materia consumeristica [1]. Al fine di comprendere la posizione assunta dalla Corte di Giustizia nella sentenza che si annota, appare opportuno ripercorrere i tratti salienti della vicenda giudiziaria oggetto del decisum. In particolare, la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori [2]. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Banca e un cliente in merito al presunto carattere abusivo e alla nullità assoluta di varie clausole contenute in un contratto di credito riguardante la concessione di un prestito personale concluso dal cliente presso tale istituto.

Il 5 giugno 2007 un cliente stipulava un contratto di credito relativo alla concessione di un prestito personale presso la Banca. Tale contratto era garantito da un’ipoteca di primo grado, di importo pari ad euro 182.222, di cui euro 179.000 corrispondevano al prestito personale cosiddetto «Maxicredit» a tasso fisso per un anno ed euro 3.222 corrispondevano alla commissione di concessione di tale prestito, per un periodo di 300 mesi. Dalla decisione di rinvio è emerso che le seguenti clausole contrattuali erano applicabili a detto contratto: l’articolo 5 del contratto di prestito di cui trattasi prevedeva un tasso di interesse annuo del 7,4% per il primo anno del prestito, successivamente un tasso di interesse corrente corrispondente al tasso di riferimento variabile indicato nei locali dell’istituto bancario, maggiorato di 1,5 punti percentuali; conformemente all’articolo 2.6 delle condizioni generali di concessione del prestito allegate a tale contratto, durante il periodo del prestito, il tasso di interesse corrente poteva variare in funzione dell’evoluzione del «servizio unico del debito del cliente» nei confronti di detto istituto; in forza dell’articolo 2.10, lettera a), di tali condizioni generali, durante il periodo del prestito, l’istituto bancario poteva modificare gli interessi senza il consenso del mutuatario, in funzione del costo del finanziamento del prestito, e il nuovo tasso di interesse era applicabile al saldo del prestito a partire dalla data della sua modifica. La modifica del tasso di interesse variabile comportava un ricalcolo degli interessi dovuti; ai sensi dell’articolo 2.10, lettera b), di dette condizioni generali, per i prestiti a tasso di interesse variabile determinato in funzione di un indice di riferimento, il LIBOR o l’Euribor, il tasso di interesse poteva essere modificato in base all’evoluzione di tale indice; in forza dell’articolo 2.11 delle medesime condizioni generali, il nuovo tasso di interesse, rivedibile ogni semestre, era affisso nei locali dell’istituto bancario dalla data di applicazione della modifica e il tasso di interesse che ne risultava era applicato al saldo del prestito in essere alla data della modifica; in caso di linee di credito, il mutuatario veniva a conoscenza della modifica del tasso di interesse annuo nonché del piano di rimborso aggiornato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante estratto conto fornito gratuitamente al mutuatario presso gli sportelli dell’istituto bancario; se, a seguito della modifica del tasso di interesse da parte di tale istituto, il mutuatario non rimborsava il saldo del prestito e i relativi interessi entro un termine di 10 giorni dalla data in cui ne era venuto a conoscenza, si riteneva che avesse accettato il nuovo tasso di interesse.

Il 9 giugno 2017 il cliente proponeva un ricorso contro la Banca dinanzi al Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj, Romania) affinché quest’ultimo dichiarasse il carattere abusivo e, pertanto, la nullità assoluta delle clausole del contratto di prestito in questione relative al tasso d’interesse variabile e annullasse, di conseguenza, il piano di rimborso stabilito in applicazione di tali clausole. Egli chiedeva, altresì, che detto giudice ingiungesse alla convenuta di modificare le suddette clausole e la condannasse a rimborsare l’importo pagato in eccesso risultante dalla dichiarazione del carattere abusivo di queste ultime. Dinanzi allo stesso giudice, il cliente sosteneva, in particolare, che le clausole di cui trattasi consentivano alla Banca di modificare arbitrariamente l’importo di detto tasso, pregiudicando così i suoi legittimi interessi di consumatore. Con sentenza del 23 gennaio 2018, detto giudice accoglieva parzialmente il ricorso del cliente. Esso dichiarava, in particolare, la parziale nullità assoluta della clausola di cui all’articolo 5 del contratto di prestito in questione, per quanto concerne il meccanismo di determinazione del tasso d’interesse variabile, ai sensi del quale il tasso di interesse corrente corrisponde al tasso di riferimento variabile affisso nei locali dell’istituto bancario, nonché dell’articolo 2.6, dell’articolo 2.10, lettera a) e dell’articolo 2.11, articoli di cui al punto 12 della presente sentenza. La nullità assoluta della clausola contenuta nell’articolo 2.10, lettera b), di detto contratto era stata constatata sulla base del fatto che l’istituto bancario aveva solo la possibilità e non l’obbligo, di rivedere il tasso d’interesse variabile in funzione degli indici di riferimento indicati nel contratto, vale a dire il LIBOR o l’Euribor. Inoltre, era stato intimato alla Banca B. di precisare il contenuto della clausola relativa agli interessi del contratto di prestito di cui trattasi, definendo, in base alle indicazioni di detto giudice, gli elementi costitutivi e l’importo di tali interessi. Da un lato, il margine previsto all’articolo 5 del contratto doveva essere fissato a 1,5 punti percentuali, maggiorato dell’indice Euribor a 6 mesi. Dall’altro, la modalità di modifica del tasso di interesse doveva dipendere, esclusivamente, dagli indici di riferimento Euribor a 6 mesi, con un margine fisso dell’istituto bancario, che poteva essere modificato soltanto con l’accordo scritto delle parti, cosicché la modifica del tasso di interesse dipendeva dalle variazioni dell’indice Euribor a 6 mesi.

Secondo il Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj), l’eliminazione della clausola che conferisce all’istituto bancario il diritto esclusivo di controllare il meccanismo di adeguamento del tasso di interesse variabile, senza precisare le conseguenze di tale constatazione, comporterebbe, in pratica, una modifica del contratto, in quanto il tasso di interesse sarebbe fissato al livello applicabile durante il primo anno del prestito. Una situazione del genere favorirebbe, soprattutto, il professionista e vanificherebbe qualsiasi trattativa al riguardo tra le parti contraenti. Inoltre, detto giudice rilevava che la fissazione di un tasso d’interesse fisso avrebbe costituito una modifica del contratto contraria all’accordo delle parti, che avevano concordato un tasso d’interesse variabile, nonché alle disposizioni dell’articolo 969 del codice civile, che sancisce il rispetto degli impegni contrattuali (pacta sunt servanda).

Il 15 ottobre 2018 la Banca proponeva appello avverso detta sentenza dinanzi al giudice del rinvio, la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania). Dinanzi a tale giudice, la Banca fa valere, sostanzialmente, che il giudice di primo grado ha modificato il metodo di calcolo del tasso di interesse di cui trattasi per l’intera durata del prestito, ignorando la volontà delle parti al momento della conclusione del contratto di prestito in questione. Statuendo in tal modo, esso avrebbe ecceduto le proprie competenze giurisdizionali e avrebbe ignorato la recente giurisprudenza della Corte di Giustizia.

La Banca B. sosteneva, altresì, che il giudice di primo grado avesse erroneamente fondato la sua decisione su disposizioni che non erano in vigore al momento della stipula di tale contratto. Il giudice del rinvio afferma che i giudici rumeni hanno interpretato e applicato in modo divergente l’articolo 6 della legge n. 193/2000 che traspone nel diritto rumeno l’articolo 6 della direttiva n. 93/13, per quanto concerne, in particolare, la determinazione delle conseguenze del fatto che sia accertato il carattere abusivo delle clausole [3] che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile con riferimento a criteri non trasparenti. Dato che un contratto di prestito stipulato da un consumatore con un professionista non può giuridicamente sussistere qualora quest’ultimo perda il suo diritto di percepire interessi, una parte dei giudici ritiene che spetti alle parti contraenti negoziare in buona fede, in modo reale ed effettivo, la clausola relativa alle modalità di fissazione del tasso d’interesse, di modo che il contratto che esse hanno concluso possa continuare ad esistere. Altri giudici hanno disposto l’applicazione, al termine del periodo in cui era previsto un tasso d’interesse fisso, di un tasso d’interesse costituito dal margine fisso stipulato nel contratto di prestito, a decorrere dal secondo anno del prestito, maggiorato di un indice oggettivo, trasparente e verificabile, come l’Euribor. In tali circostanze, la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo di una clausola che definisce il meccanismo per la determinazione del tasso di interesse variabile con la formula “margine fisso e interessi di riferimento applicati da una banca in base a criteri non trasparenti”, nell’ambito di un contratto di credito con tasso di interesse fisso limitatamente al primo anno e un tasso variabile per gli anni successivi, conformemente alla formula menzionata, consenta al giudice nazionale di adeguare il contratto stabilendo un metodo di calcolo dell’interesse variabile sulla base di parametri di riferimento trasparenti (LIBOR/Euribor) e del margine fisso della banca, alla luce degli elementi di fatto contenuti nel contratto di credito, al fine di garantire una migliore tutela del consumatore.

2) In caso di risposta negativa a tale questione, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo di una clausola come quella precedentemente menzionata, consente al giudice nazionale di applicare, in via giudiziale, un tasso di interesse fisso mediante riferimento al margine fisso stabilito per il secondo anno di esecuzione del contratto o al tasso di interesse fisso del primo anno.

3) In caso di risposta negativa a tale questione, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] e il principio di effettività debbano essere interpretati nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo di una clausola come quella precedentemente menzionata, ostano a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa al fine di determinare il nuovo tasso di interesse, senza stabilire parametri di riferimento.

4) In caso di risposta negativa a tale questione, quali siano i possibili rimedi per garantire una tutela dei consumatori in linea con le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13]».

A dirimere tali contrasti è intervenuta, pertanto, la decisione della Corte di Giustizia UE, 25 novembre 2020, C-269/19, che ha espresso i principi sopra riportati.


2. La nullità parziale dei contratti con i consumatori nel diritto unionale

È in corso una penetrante influenza del diritto unionale sui modelli di tutela civile [4]. L’esigenza di garantire l’effettività del diritto europeo ha assunto connotazioni sempre più penetranti come, tra l’altro, risulta inequivocabilmente dal formante giurisprudenziale europeo. Ciò ha creato un rapporto simbiotico, se così possiamo affermare, fra effettività del diritto in Europa ed effettività della tutela dei diritti riconosciuti in ciascuna Costituzione degli Stati membri. Pertanto, si pone l’attenzione sulle posizioni della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della giurisprudenza maturata nel singolo Stato membro, poiché hanno influenzato, non poco, il dibattito sulla nullità parziale all’interno della sfera della disciplina consumeristica sulle clausole vessatorie. L’indagine, avendo ad oggetto la compatibilità della disciplina codicistica della nullità con le nuove invalidità di protezione [5], ci ricorda, tra l’altro, quella tesi secondo la quale l’interprete, chiamato a decidere sulla propagazione della nullità parziale, svolge un’attività non d’interpretazione del contratto, bensì d’integrazione di atti di autonomia [6]. Il termine “integrazione” utilizzato allude ad un doppio significato, ossia di sottrazione o di aggiunta, la correzione del regolamento contrattuale può, infatti, avvenire anche mediante sottrazione [7]. A tal fine, giova distinguere tra una integrazione di supplenza all’autonomia privata, quando l’autonomia privata non si esplica in modo compiuto. L’integrazione di supplenza (o suppletiva) è di ausilio all’autonomia privata in quanto mira a riempire le lacune dell’autonomia privata stessa, consentendo al contratto di operare nella realtà economica [8]. L’integrazione, quindi, opera quando il contenuto adottato dalle parti, benché ricostruito nello scopo perseguito e valutato meritevole di tutela, risulti incompleto.

Si ha integrazione di contrasto quando, pure essendosi l’autonomia privata esplicata in modo esaustivo ed in grado di compiutamente operare, esigenze e valori dell’ordinamento che impongono un intervento di opposizione all’assetto di interessi realizzato: è una integrazione antagonista che si impone all’autonomia privata sovrapponendosi al contenuto contrattuale [9]. Problema delicato è quando la normativa cogente sopravvive alla conclusione del contratto, così da sconvolgere l’assetto di interessi realizzato. L’applicazione del principio di buona fede dovrebbe consentire al contraente, non più interessato al contratto, di recedere dal contratto, potendosi fare applicazione del principio che consenta alla parte la cui prestazione è diventata eccessivamente onerosa di domandare la risoluzione del contratto (art. 14671) [10]. L’integrazione di contrasto, come noto, assume tre modelli: soppressivo, additivo e sostitutivo [11].

Ebbene, a seguito della valorizzazione della buona fede, come clausola generale che accompagna l’intera vita del contratto, la disputa sull’ambito dell’equità, più che perdere di importanza, ha solo “spostato” il suo campo di incidenza dall’equità alla buona fede, intrecciandosi con questa, nella direzione di fissare il limite dell’intervento correttivo del giudice, sul quale sono intervenuti i giudici europei [12].

La visione giurisprudenziale europea si concreta nella circostanza che il giudice interno dovrà indagare se gli effetti dell’integrazione siano aderenti agli obiettivi di una tutela che rispetti i principi poco prima evocati. Più precisamente, il giudicante, come tra l’altro conferma il Giudice comunitario nella decisione commentata [13], dovrà avere riguardo agli obiettivi “presi di mira” dalle fonti europee (direttive), ma anche alle preferenze del consumatore (soggetto debole), come si dirà meglio nel paragrafo in appresso.


3. Poteri correttivi dello squilibrio contrattuale da parte del giudice interno e la direttiva n. 93/13/CEE. Punti deboli della sentenza

La problematica analizzata dalla Corte di Giustizia UE prende spunto dall’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, 5 aprile 1993, concernente le “clausole abusive” nei contratti stipulati con i consumatori.

Con la pronuncia in commento, nell’ipotesi in cui un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore non possa sussistere, successivamente alla soppressione di una clausola abusiva [14], la Corte ha riconosciuto che l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale, in applicazione di principi del diritto contrattuale, sopprima la clausola abusiva, sostituendola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva in situazioni in cui dichiarare invalida la clausola abusiva obbligherebbe il giudice ad annullare il contratto nella sua interezza, esponendo, in tal modo, il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, sicché quest’ultimo ne sarebbe penalizzato.

La decisione si apprezza, sotto alcuni aspetti, per gli spunti riflessivi, non soltanto sui poteri del giudice sul contratto, ma anche in chiave comparatistica, ossia sul confronto che ne deriva delle due diverse posizioni interpretative (giudice interno e giudice europeo) nell’ambito della tutela consumeristica.

Allo stesso tempo, però, lascia intravedere i “vuoti” di un dialogo tra Corti Nazionali e Corte di Giustizia che, per forza di cose, reagisce a sollecitazioni puntuali, inserite in contesti determinati, non sempre del tutto accessibili in una prospettiva sovranazionale.

È bene premettere che il giudizio di abusività produce differenti conseguenze a seconda che incida su una clausola “non essenziale” del regolamento contrattuale o, diversamente, su una clausola “essenziale” dello stesso.

Di fronte ad un contratto affetto da clausola (essenziale) abusiva, quindi, squilibrato nelle prestazioni tra soggetto debole (consumatore) e soggetto forte (professionista), si possono intravedere due percorsi alternativi: o si chiede che sia caducato l’intero contratto, oppure si opta per la nullità parziale della sola clausola abusiva. Ebbene, “eliminare” la sola clausola abusiva sarebbe, prima facie, una soluzione adeguata a garantire, da un lato, la protezione per il consumatore e, dall’altro, a distogliere il professionista dal compiere condotte abusive.

Applicare un meccanismo di eliminazione delle clausole abusive non è, però, una garanzia che potrebbe condurre alla protezione, così come concepita dalla direttiva in rassegna. Posto che occorre eliminare in un contratto solo il tassello che crea squilibrio, va da sé che, rimasto il vuoto, occorrerà capire come fronteggiare gli effetti che, inevitabilmente, possono prodursi a seguito di tale eliminazione [15] (pur giusta).

A giudizio della Corte, nella sentenza in commento, acclarata la clausola come abusiva e annullato l’intero contratto, conseguirebbero effetti collaterali per il consumatore (la caducazione dell’intero contratto costringerebbe il consumatore-mutuatario a restituire senza indugio il denaro ricevuto in prestito). La Corte, pertanto, al fine di non pregiudicare gli interessi delle parti, ha permesso al giudice di sostituire la clausola abusiva con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva [16].

Il Supremo Collegio s’interroga se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che, in seguito alla dichiarazione del carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile, in un contratto di prestito, come quello in questione nel procedimento principale e qualora tale contratto non possa sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive di cui trattasi e non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva che possa sostituirsi a dette clausole, tale disposizione osta a che il giudice nazionale fissi un nuovo metodo di calcolo del tasso d’interesse o rinvii le parti ad una trattativa al fine di determinare un nuovo metodo di calcolo di questo tasso, senza definire il quadro di tali trattative. Il giudice nazionale dovrebbe adottare misure idonee a tutelare il consumatore dagli eventuali danni che dalla caducazione del contratto deriverebbero.

Come si evince, il problema attiene proprio alla portata dell’art. 6 della direttiva 93/13/CE secondo cui il giudice nazionale ha, soltanto, il potere di disapplicazione della clausola abusiva, ma non anche il potere di revisione del suo contenuto.

La questione, si ribadisce, non sussiste quando la clausola abusiva non è una clausola essenziale; in tal caso il problema è risolto, direttamente, dal legislatore, ex art. 6, I comma, codice del consumo; invece, quando la nullità incide su una clausola essenziale, a latere alla caducazione, si può collocare, grazie alla pronuncia in commento, l’integrazione del vuoto creatosi attraverso una norma dispositiva o suppletiva.

Ebbene, in considerazione del caso esaminato dal Giudice comunitario, si ritiene preferibile caducare l’intera clausola patologica (che definisce il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile), in tal caso va valutato, nel suo complesso, il rapporto tra regolamento del contratto e clausola incriminata.

Su tali premesse, la Corte aveva considerato non compatibili con l’art. 6, Dir. 93/13/CEE quelle legislazioni nazionali che consentivano al giudice, una volta accertata l’abusività di una clausola, di correggere il patto abusivo [17]. La Corte, sul punto, ha affermato: “se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto delle clausole abusive inserite in simili contratti, una tale facoltà potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’art. 7 della direttiva 93/13. Infatti, tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole [...] dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare tali clausole consapevoli che, quand’anche fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti [18]; ai giudici compete, unicamente, escludere l’applicazione della clausola abusiva “affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima [19].


4. La nullità parziale “nuda” nella visione della Corte. Ambiguità e lacune

Per la Corte il potere di cui dispone il giudicante non potrà travalicare ciò che è necessario per “rispristinare” l’equilibrio contrattuale tra le parti e, quindi, per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento del contratto di prestito di cui trattasi potrebbe provocare. La Corte di Giustizia, sul punto, ha chiarito che: “Da un lato, il giudice deve garantire che possa essere ripristinata l’uguaglianza tra le parti contraenti che l’applicazione di una clausola abusiva nei confronti del consumatore abbia messo a repentaglio. Dall’altro, occorre assicurarsi che il professionista sia dissuaso dall’inserire siffatte clausole nei contratti che propone ai consumatori” [20]. Tale assunto sarebbe compromesso se il giudice si spingesse oltre ciò che è strettamente necessario a restituire equilibrio.

Vediamo che il giudice chiamato a valutare se la nullità parziale sia valida come rimedio, non potrà agire, in tal senso, se non s’interroga sulle conseguenze della nullità sul concreto bilanciamento tra diritti e obblighi, alterato, ad esempio, dall’abuso del professionista.

L’integrazione del contratto retrocede a co-elemento residuale della tutela consumeristica, soggetto al vaglio del giudice e al peso delle preferenze del consumatore. La sua ‘denegazione’ diventa la regola, la sostituzione della clausola l’eccezione.

Questa nullità parziale definita ‘nuda’, perché svestita del complemento ‘naturale’, che il nostro art. 1374 [21] cod. civ. vede, in primis, nella legge e poi negli usi e nell’equità, è un rimedio quasi nuovo, pronto ad assumere una chiara funzione sanzionatoria. Su tale ultimo profilo è stato osservato che si tratta, per lo più, di clausole con cui si regolano le conseguenze penalizzanti dell’inadempimento del consumatore: una clausola penale, un interesse moratorio, una clausola risolutiva espressa. In tutte queste ipotesi la nullità nuda serve a privare il professionista del beneficio abusivamente acquisito mediante l’imposizione della clausola: la penale eccessiva, l’interesse moratorio sproporzionato, la risoluzione a fronte di un inadempimento di scarsa o scarsissima importanza [22].

L’effetto privativo della nullità ‘nuda’ non va, sicuramente, condannato; di esso, tuttavia, occorre chiarire la reale natura. Si ritiene che non ci sia da stupirsi del fatto che il giudice europeo ne stimoli l’uso, ma solo che lo fa in modo generico, senza considerare, da un lato, la proporzionalità del rimedio-sanzione e, dall’altro, del complicato collegamento con il diritto nazionale, qualora l’applicazione di regole suppletive è apertis verbis prevista dalla legge [23].

Un quesito, però, è d’obbligo porsi: cosa succede se il diritto nazionale non disponga di una norma regolatrice idonea a colmare la lacuna? La sentenza in epigrafe ha, quindi, fornito risposta, dando la possibilità di una rimessione alle parti delle trattative, purché il Giudice sia egli stesso a stabilire “le linee guida” di tali trattative che siano volte a ristabilire, tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale che tenga conto dell’obiettivo di tutela del consumatore [24] sotteso alla direttiva 93/13. Ed ecco che abbiamo la rinegoziazione quale rimedio alla caducazione del contratto. Ma sarà sufficiente?

Con un ragionamento più approfondito, si approderebbe al risultato che l’integrazione del contratto ha, essa stessa, funzione di presidio, anziché ritenere che sia un effetto postumo alla verifica della nullità parziale. Ragionando in questi termini, si rischierebbe, però, di impattare con la circostanza che l’integrazione della norma di legge nel contratto nasca dalla forza cogente [25] della norma stessa che il giudice si limiti ad applicare, senza possibilità di misconoscere. Dunque, il punto centrale risiederebbe nel constatare se, come ubi consistam dell’interpretazione data dalla giurisprudenza europea dell’integrazione contrattuale, esistano gli anzidetti principi di effettività, dissuasività e proporzionalità delle tutele consumeristiche.

In sintesi, possiamo dedurre che l’argomento della dissuasività valorizzato dalla sentenza annotata ha portato la Corte, sicuramente, a “sottovalutare” il ruolo, possiamo definirlo “importante”, dell’etero-integrazione in funzione protettiva del consumatore e finendo così per generare tensioni non necessarie tra diritto europeo e legislatori nazionali, a cui invece potrebbe, in molti casi, riconoscersi il merito di una normazione suppletiva, altrettanto rispettosa dei principi di effettività, dissuasività e proporzionalità delle tutele.

Ugualmente critica è, sotto questo profilo, quell’aprioristica denegazione di ruolo all’integrazione giudiziale, anche se prevista dai sistemi nazionali, come se, nello specifico ambito della determinazione degli effetti della nullità parziale, il giudice cessasse di essere l’interprete di una legislazione secondo i principi e valori dell’ordinamento, che lo stesso diritto europeo ha contribuito a valorizzare.

Il recente revirenment emerso nel caso Caixabank [26], unito all’ultima lettura della giurisprudenza europea offerta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di nullità delle clausole inerenti ai tassi moratori, farebbe pensare che l’etero-integrazione possa conoscere presto nuovi approdi e più miti orientamenti anche presso il giudice di Kirchberg.

Del resto, nonostante l’intenso susseguirsi di pronunce, il dialogo tra corti nazionali e Corte di Giustizia ha ancora molti traguardi da conquistare in questo ambito.

Lo stesso New Deal for consumers, con la previsione di un rimedio caducatorio a fronte della pratica commerciale scorretta, potrebbe generare nuove questioni in merito all’alternativa tra caducazione totale e caducazione parziale del contratto affetto da pratica scorretta abbinata all’uso di clausole vessatorie. Ugualmente, nel campo del credito al consumo dove, tutto sommato, è lo stesso diritto europeo ad aver sollecitato i legislatori nazionali ad adottare norme dispositive di riferimento (come nella determinazione del costo del credito o del valore dell’indennizzo in caso di restituzione anticipata), la sostituzione della clausola potrebbe riacquistare quel valore conformativo che le è già proprio nei sistemi nazionali, a cui forse “sarebbe” ragionevole rinunciare in favore di un più “pesante” ruolo sanzionatorio della nullità, solo nei casi più gravi.


5. Tra dissuasività di azione ed equilibrio contrattuale: adeguatezza della soluzione

In questo trascolorare della tutela civile, verso orizzonti propri delle forme pubblicistiche di attuazione dei diritti, è importante riflettere sull’essenza della nullità parziale di stampo consumeristico: un rimedio che, inerente all’atto, punta al riequilibrio di posizioni individuali all’interno di una relazione strutturalmente diseguale. Se, dunque, effettività, proporzionalità e dissuasività sono, ormai, comunemente applicate tanto alle sanzioni quanto ai rimedi, il loro uso dovrebbe essere correlato alla natura e alla funzione primaria di ciascuna misura disposta dal giudice. Nel caso della nullità parziale, ciò significa garantire che, attraverso il rimedio, la parte protetta dalla nullità sia in grado di recuperare effettivamente le utilità perdute, di liberarsi dagli oneri o i rischi ingiustamente assunti, non invece che, in ragione di una funzione deterrente del rimedio, consegua arricchimenti ingiustificati o vada esente da responsabilità proprie. Del resto, il principio di proporzionalità non lo consentirebbe [27].

La questione che avvolge l’intero ragionamento del presente commento è comprendere, anzitutto, i limiti per il giudice nell’ipotesi in cui intervenga nel contratto stipulato dalle parti e se possa modificare ciò che le parti hanno pattuito, sulla base della loro autonomia (espressione massima dell’autodeterminazione).

È bene considerare che, prima di giungere ai “principi” di diritto esplicitati con la sentenza in oggetto, la Corte parte dal presupposto che la direttiva 93/13/CEE si basa sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità informativa rispetto al professionista, situazione che lo può indurre ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter influire sul contenuto delle stesse [28].

Allora, partendo dalla distinzione tra integrazione suppletiva e cogente, occorre notare come la prima consenta di colmare i vuoti del regolamento contrattuale, viceversa, l’integrazione cogente non compensa un accordo assente, ma si aggiunge a un accordo che già esiste, ritenuto non meritevole di tutela dall’ordi­namento.

Si ritiene che l’integrazione del contratto, che avvenga per opera del giudice, non andrebbe vista come un modo per “invadere” la volontà dei contraenti nella regolazione dei loro rapporti, ma occorre, invece, interpretare tale “intervento” sempre in chiave di tutela dell’ordinamento ed anche dei contraenti, proprio perché mira ad apportare un bilanciamento delle posizioni contrapposte che squilibrate per l’inserimento di clausole inique.

La Corte di Giustizia, con la sentenza Kàsler [29], finalmente apre le porte all’integrazione suppletiva, seppur limitatamente all’ipotesi in cui l’invalidazione della clausola abusiva importi la caducazione del­l’intero contratto [30].

Ci si domanda, pertanto, se possa prevalere sempre l’autodeterminazione dei contraenti rispetto all’intervento correttivo del giudice ed ancora, che importanza possa assumere la giustizia contrattuale.

È l’evoluzione della società che occorre considerare: in particolare, se negli anni passati era ipotizzabile affermare che per realizzare la giustizia contrattuale fosse bastevole l’autonomia dei privati, attualmente diventa difficile per quest’ultimi fronteggiare svariate insidie provenienti, ad esempio, dalla contrattazione di massa, dall’abuso di posizione del contraente (professionista) più forte e, quindi, di fronte a quest’ultimo diventa difficile predisporre una tutela dei propri interessi. Sotto questo profilo, l’esempio delle clausole vessatorie nei contratti di credito al consumo potrebbe portarci a riflettere su come, almeno in un caso, la Corte di giustizia abbia scelto la diversa strada dell’integrazione del contratto, nonostante che la clausola vessatoria fosse non essenziale [31]. Intervenendo in tema di clausole sui costi inerenti alle iscrizioni ipotecarie, altresì, regolate con norme di legge suppletive, la decisione parrebbe determinare un vero e proprio revirement rispetto agli orientamenti precedenti, ammettendo dunque che quelle norme suppletive si applichino in sostituzione delle clausole vessatorie.

Rappresenta un cambio di rotta di cui la Corte non chiarisce bene le ragioni: non prende esplicite distanze da una dissuasività appiattita sulla regola della non integrazione, né pare ispirata dall’applicazione del principio di proporzionalità [32], richiamato in altre decisioni. Nella materia in esame, segni ben più impliciti di un recente ripensamento della Corte di Giustizia s’intravedono nella giurisprudenza in tema di riduzione dei costi accessori del credito spettante al consumatore in caso di restituzione anticipata del credito ex art. 16 dir. 2008/48/CE [33]; da tale orientamento l’Arbitro Bancario e Finanziario non ha mancato di derivare le opportune implicazioni in tema di integrazione del contratto [34] a fronte della nullità delle clausole sui costi c.d. upfront.

Se poi si passa alla normativa nazionale, è il legislatore interno ad abbinare, in tema di trasparenza [35] del TAEG, nullità parziale della clausola accessoria sui costi del credito e integrazione del contratto mediante sostituzione del TAEG convenzionale con altro tasso definito dalla norma; ciò al fine di assicurare una protezione effettiva, proporzionata e dissuasiva al consumatore.

Non a caso, muovendosi nella medesima prospettiva tracciata dal diritto europeo, l’Arbitro Bancario e Finanziario circoscrive i limiti di una siffatta tutela ricorrendo al principio di proporzionalità [36]. In ultimo (e con implicazioni non meno rilevanti), le aperture così intraviste verso l’integrazione del contratto in ipotesi di clausole accessorie schiudono nuove e importanti prospettive sulla tutela effettiva, dissuasiva e (soprattutto) proporzionata del consumatore riguardo alle clausole inerenti ai tassi moratori. Su tale aspetto è fondamentale, senz’altro, la legislazione sovranazionale la quale, come si evince anche dalla giurisprudenza europea, sembra, pian piano, creare degli spiragli all’ipotesi di bilanciare le prestazioni “squilibrate”, facendo ricorso alla clausola di buona fede e, in particolare, tale ragionamento vale a fortiori se consideriamo la parte più debole dell’accordo.

Partendo dalla regola, trasposta in buona parte nell’art. 6 direttiva 93/13/CE, secondo la quale la clausola vessatoria non può produrre effetto alcuno e nessuna revisione della clausola è consentita, vediamo che mira a fortificare, in un certo senso, l’effettività del divieto di impiegare clausole “colorate” da vessatorietà e l’effettività della protezione del soggetto debole. Se consideriamo il valore dissuasivo (per la parte forte del rapporto) notiamo che tale valore, come affermato dalla giurisprudenza comunitaria, sarebbe pregiudicato se il professionista potesse affidarsi sulla revisione della clausola che, pur privandolo di quel vantaggio che illegittimamente avrebbe ottenuto con la clausola squilibrata, gli garantisca una qualche soddisfazione legata all’uso del termine nullo, seppure rideterminata secondo altri parametri [37].

Com’è stato osservato in dottrina, la giurisprudenza europea, maturata negli ultimi decenni nell’area della tutela consumeristica, parrebbe rappresentare la migliore cornice di un simile potere giurisdizionale. In più occasioni, infatti, la Corte di Giustizia ha avuto modo di affermare che, stante l’intrinseca debolezza del consumatore e l’asimmetria di potere caratterizzante la relazione con il professionista, non solo nel corso del rapporto contrattuale ma anche nella fase contenziosa, l’obiettivo di una tutela effettiva può essere perseguito solo se si assegna al giudice un ruolo proattivo nell’ambito del processo. Nota è l’evoluzione giurisprudenziale che ha portato dalla configurazione di un potere a quella di un vero e proprio dovere di rilevazione officiosa della vessatorietà della clausola. Nella stessa prospettiva possono essere richiamati i poteri officiosi di natura istruttoria o quelli inerenti all’individuazione del rimedio applicabile [38].

Tanto è consolidato nelle Corti europee l’assunto secondo il quale il diniego d’integrazione dell’accordo opera come rimedio con effetto privativo e sanzionatorio, che qualsiasi tipo di controllo della clausola è visto come eccezionale. In sostanza, quest’ultima è ammessa, soltanto, allorché essa sia dirimente riguardo all’ac­cordo e il venir meno dello stesso sia pregiudizievole per il consumatore, pregiudicando, in particolare, l’effetto deterrente dato dallo strumento dell’invalidità. Viceversa, quando la clausola è accessoria l’approc­cio generale riprende la sua forza e la mancata integrazione diventa un co-elemento, come già detto in precedenza, fondamentale della nullità parziale per garantire effettività e dissuasività.

Ai sensi dell’art. 1419 cod. civ., la nullità della singola clausola contrattuale può determinare la nullità dell’intero contratto solo qualora risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità. Il riferimento dato dalla norma codicistica è nell’interesse contrattuale e combacia con la reciproca intenzione dei contraenti, richiamando, dunque, la volontà comune.

Così letta la norma, svela la nitida contrarietà fra il 1° e il 2° comma, esattamente tra autonomia ed eteronomia dell’accordo. Infatti, nel momento in cui, secondo l’art. 1339 cod. civ., la clausola nulla è sostituita di diritto dalla norma imperativa di precetto, il primo comma dell’art. 1419 cod. civ. è inapplicabile e il secondo comma, prendendo atto dell’etero-integrazione cogente, stabilisce la nullità parziale. Dunque, considerando il dato codicistico, è la stessa etero-integrazione del contratto a stabilire la riuscita del rimedio invalidatorio, eliminando dall’inizio la possibilità di ricorrere alla nullità totale.

Il diritto europeo, di regola, non consente al giudice di esercitare poteri di moderazione o sostituzione della clausola vessatoria, neppure se fondati su norme di legge nazionale. Sempre nella prospettiva della Corte di Giustizia, l’etero-integrazione torna ad essere ammessa solo se essenziale per la sussistenza del contratto e funzionale alla protezione del consumatore.

In assenza di queste condizioni, invertendosi la logica sottesa all’art. 1419 cod. civ., non è l’etero-integrazione a escludere la nullità totale, bensì l’esigenza di una tutela effettiva del consumatore a escludere l’etero-integrazione [39]. Va evidenziato che, sicuramente, la funzione correttiva attraverso la buona fede si lega con quanto affermato in precedenza, quando si è fatto cenno alla conservazione contrattuale.

È noto che l’art. 1374 cod. civ. non annovera formalmente la buona fede tra le fonti di integrazione del contratto, ma il principio di buona fede rappresenta comunque una clausola generale dell’ordinamento che permea l’intero dispiegarsi dell’autonomia privata ed il cui contenuto concreto è determinato volta per volta in relazione al contesto delle circostanze e degli interessi in cui deve operare. Invero, i riferimenti normativi alla buona fede, sia in tema di conclusione art. 1337 cod. civ., interpretazione art. 1366 cod. civ. ed esecuzione del contratto art. 1375 cod. civ., fanno delle buona fede un fondamentale principio legale che assume anche il ruolo essenziale fonte di integrazione del regolamento contrattuale, nel senso di imporre la produzione di effetti conformi alla buona fede [40].

Come si evince anche nella sentenza commentata, alla buona fede è, infatti, assegnato un ruolo fondamentale nella conclusione e nella esecuzione del contratto. L’idea generale è che la buona fede oggettiva operi come fonte di integrazione del contratto.

Nell’ambito della conservazione contrattuale, poi, coerentemente, s’inserisce l’art. 3.2.7 par. 2 (Principi Unidroit) laddove è stabilito che il giudice ha la possibilità di adattare il contratto al fine di renderlo conforme ai criteri ordinari di correttezza del commercio, ciò avviene sempre sulla base di una richiesta di annullamento proveniente dalla parte legittimata. Tale situazione, pur considerando la conservazione del contratto, ci aiuta a ben comprendere l’ampiezza della buona fede la quale non determina, forzatamente, un’inter­ferenza dell’Autorità giudiziaria rispetto all’autonomia delle parti. Si aggiunga che il diritto segue l’evo­luzione sociale, proprio per questo va considerata la circostanza che il contratto, oltre ad essere regolato dalla volontà dei soggetti contraenti, è, altresì, regolato anche da fonti eteronome il cui intervento abbisogna di una rivalutazione.

Allora, in un mondo dominato dalla globalizzazione, è necessario ricercare presidi per le parti, proprio se ci si trovi al cospetto di una diseguale forza contrattuale. Occorre che non si giunga ad una presenza nel contratto da parte del giudice abbastanza penetrante ma, allo stesso tempo, non sarebbe “corretto” interpretare l’integrazione correttiva come restrizione dell’autonomia dei contraenti [41]. Sicuramente, centrale è pur sempre la volontà delle parti, ma come emerge anche dalla pronuncia della Corte europea annotata, si deve sostenere che sia insito nell’ordinamento europeo un potere di controllo del giudice sul contratto con lo scopo di evitare il pericolo che l’autonomia superi il “recinto” all’interno del quale risulti meritevole di tutela.

L’aspetto più “delicato” della sentenza si tocca proprio nel punto in cui la Corte di Giustizia è chiamata a pronunciarsi in un caso in cui la norma suppletiva non può giungere in soccorso del consumatore. Ed è qui che la Corte rileva come il giudice nazionale debba, “al fine di ripristinare l’equilibrio reale tra i diritti e gli obblighi delle parti”, adottare, tenuto conto dell’insieme del suo diritto interno, tutte le misure necessarie a tutelare il consumatore. Entra, così, in gioco la rimessione delle parti alle trattative. Trattative il cui campo d’azione è direttamente delimitato dal giudice [42].

Ebbene, la strada da percorrere è quella di considerare la funzione, il ruolo guida che ha e che deve continuare ad avere il Giudice, una funzione di presidio, in sede giudiziaria, per il soggetto (consumatore) più debole del rapporto e, quindi, il compito del magistrato sarà di tracciare un sentiero di regole, appunto, da seguire, affinché le parti del contratto possano esprimere al meglio la propria autonomia.

In tal modo vi saranno due vincoli, uno per il giudice che detterà regole in base alle quali egli sarà tenuto a salvaguardare la posizione delle parti da una eventuale asimmetria e l’altro, viceversa, per i privati la cui autonomia sarà circoscritta nel quadro delle regole dettate non come arbitrio, ma come equità, appunto, dal giudice.

Le trattative, sicuramente, devono essere dirette a (ri)stabilire un equilibrio che tenga conto dell’obiettivo di tutela del consumatore [43], quale soggetto, appunto, più debole del rapporto.

Sicuramente, la scelta di rimessione delle parti alle trattive per quanto rappresenti dei passi in avanti, la strada “più virtuosa” da intraprendere nei confronti del consumatore, comunque non è immune da critiche, in quanto le parti potrebbero non raggiungere l’accordo, seppur con la guida del giudice o, ancora, raggiungere un accordo che presenti profili di iniquità, ed allora quale sarebbe la scelta ottimale e coerente con un modello di mercato [44] efficiente?

Laddove le parti, in conclusione, non dovessero raggiungere l’accordo, a parere di chi scrive, nel rispetto dell’autonomia privata, potrebbero decidere, di comune accordo, di risolvere il contratto o, di ripresentarsi dinanzi al Giudice affinché provveda a “ristabilire” l’equilibrio contrattuale. In mancanza di accordo di deferire al giudice la soluzione, anche una sola delle parti può eccitare l’intervento del giudice perché adotti la soluzione equilibrata alla stregua del principio di buona fede, attuato secondo i criteri della proporzionalità e dell’adeguatezza.


NOTE

[1] Per un commento al codice del consumo, con particolare riguardo al diritto unionale, cfr. R. Petruso, Le clausole abusive nei contratti con il consumatore nella giurisprudenza della Corte Europea di giustizia, in Scritti di comparazione e Storia giuridica II, a cura di P. Cerami e M. Serio, Torino, 2013, 415-418; G. Alpa, Il codice del consumo, in Contratti, 2005, 1047; Id., L’incidenza della nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori sul diritto comune, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, p.237; Id., Le clausole abusive nei contratti dei consumatori, in Corr. Giur., 1993, 639; E. Capobianco, La protezione del consumatore tra obiettivi di razionalizzazione normativa e costruzione del sistema nell’esperienza del codice del consumo, in Vita not., 2008, 1187; R. Calvo, Il Codice del consumo tra consolidazione di leggi e autonomia privata, in Contr. Impr. Eur., 2006, 74; G. De Cristofaro, Le disposizioni «generali» e «finali» del Codice del consumo: profili problematici, in Contr. Impr. Eur., 2006, 43; G. De Cristofaro, Il “codice del consumo”: un’occasione perduta?, in Studium iuris, 2005, 1137; F. Di Marzio, Codice del consumo, nullità di protezione e contratti del consumatore, in Riv. dir. priv., 2005, 837; Id., Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., 2007, I, 681; Id., Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore – Prime riflessioni sulla previsione generale di vessatorietà, in Giust. civ., 1996, II, 513; S. Patti, Il codice civile e il diritto dei consumatori. Postilla, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, 282; Id., La direttiva comunitaria sulle clausole abusive: prime considerazioni, in Contr. Impr., 1993, 71; Diritto dei consumatori e nuove tecnologie, a cura di F. Bocchini, Torino, 2003; G. Benedetti, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, p.17; M. Nuzzo, I contratti del consumatore tra legislazione speciale e disciplina generale dei contratti, in Rass. dir. civ., 1998, 308.  

[2] La letteratura in argomento è molto vasta. Per alcune indicazioni di massima, v. i lavori presenti nella Collana “Consumatori oggi” a cura di M. Bessone e P. Perlingieri, Napoli, 2008; Codice del Consumo, Commentario a cura di G. Alpa e L. Rossi Carleo, Napoli, 2005; G. Alpa, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 1995; M. Musy, La protezione dei consumatori in Italia (Rilievi comparatistici sul nostro modello di Tutela), in Questione giustizia, 2001; G. Scorza, Il diritto dei consumatori e della concorrenza in internet, Padova, 2006; Diritto dei consumatori e nuove tecnologie a cura di F. Bocchini, Torino, 2003.

[3] In materia si v. M.P. Gervasi, Clausole abusive e mutui ipotecari secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, in Giur. it., n. 7, 1 luglio 2021, 1575.

[4] In merito a tale profilo si vedano i seguenti contributi: F. Bocchini, Tradizione e attualità nel diritto privato, Napoli, 2009; G. Vettori, Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009, 178; Id., Contratto e rimedi, III ed., Padova, 2017, 30 ss.; I. Pagni, Effettività della tutela giurisdizionale, in Enc. dir., Annali, X, 2017, 355 ss.; P. Biavati, Le categorie del processo civile alla luce del diritto europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 1323 ss.; P. Iamiceli (a cura di), Effettività delle tutele e diritto europeo. Una ricerca per e con la formazione giudiziaria, Napoli, 2020, disponibile su http://hdl.handle.net/11572/282583.

[5] Per un approfondimento in materia si veda G. Perlingieri, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, Napoli, 2011; S. Polidori, Disciplina della nullità ed interessi protetti, Napoli, 2001, 114 ss.; G. Bonfiglio, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 861 ss.; M. Girolami, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008, 1 ss. e 322 ss.; A. Di Majo, La nullità, in Tratt. Dir. priv., diretto da M. Bessone, XIII, Il contratto in generale, VII, Torino, 2002, 31 ss. e 127-135; U. Malvagna, Nullità di protezione e nullità “selettive”. A proposito dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite n. 12390/2017, in Banca borsa e tit. cred., 2017, 6, 828 ss..; G. Berti De Merinis, Uso e abuso dell’esercizio selettivo della nullità relativa, in Banca borsa e tit. cred., 2014, 5, 612 ss.; S. Giuliani, Nullità del contratto quadro di investimento per difetto di sottoscrizione dell’intermediario e abuso del diritto, in Contr., 2016, 12, 1089 ss.; M. Girolami, Contratti di investimento non sottoscritti dall’intermediario: la parola alle Sezioni Unite, in Banca borsa e tit. cred., 2017, 5, 554 ss.

[6] F. Di Marzio, La nullità del contratto, Padova, 1999, 403; ma si veda pure V. Roppo, Nullità parziale del contratto e giudizio di buona fede, in Riv. dir. civ., 1971, I, 706, nota 64, secondo cui “non sembra davvero ragionevole assumere senz’altro la nullità del contratto…solo perché è venuta meno una minima parte della controprestazione”; A. Belvedere, C. Granelli (a cura di), Confini attuali dell’autonomia privata, Padova, 2001.

[7] Sul punto si veda, A. D’Adda, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008, 65.

[8] F. Bocchini, E. Quadri, Diritto privato8, Torino, 2020, 1006.

[9] F. Bocchini, E. Quadri, op. cit.,1006.

[10] F. Bocchini, E. Quadri, op. cit., 1007.

[11] Per un approfondimento sul punto si rimanda a F. Bocchini, E. Quadri, op. cit., 1007, secondo cui l’intervento soppressivo si limita a dichiarare la nullità della singola clausola contrattuale, con la conseguente caducazione. Viene in rilievo il fenomeno della c.d. nullità parziale, che di regola, opera nei limiti fissati dall’art. 14191, secondo un generale principio di conservazione del contratto. Il contratto continua a vivere senza la clausola dichiarata nulla, e perciò nella stregua che meglio realizza l’interesse del soggetto protetto. Con l’intervento additivo la legge amplia imperativamente il regolamento contrattuale. Talvolta interviene direttamente, aggiungendo specifiche determinazioni: ad es., nei contratti negoziati fuori del locale commerciale e a distanza spetta al consumatore il diritto di recesso da esercitare con determinate modalità, ancorché non previsto (art. 52 cod. cons.). L’intervento sostitutivo realizza l’integrazione più penetrante. La legge prescrive la sostituzione di una determinazione pattizia con altra autoritativamente imposta. Il dato significativo è che la sostituzione è di diritto e cioè automatica: la sostituzione avviene anche se la norma imperativa violata non preveda la sostituzione: la sostituzione avviene anche se la norma imperativa violata non preveda la sostituzione e senza possibilità di valutazione di una diversa volontà anche solo ipotetica delle parti. Acutamente la dottrina ha affermato che l’eteronomia ribalta l’autonomia: la volontà della legge si sostituisce alla volontà dei privati. Il contratto continua a vivere, ma nel modo conformato dall’ordinamento. Il fenomeno è testualmente regolato dall’art. 14192, secondo cui “la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.

[12] Si veda Corte Giust. UE 14-6-2012, n. 618, secondo cui la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro non consentire al giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esaminare d’ufficio, “in limine litis”, e in qualsiasi altra fase del procedimento, anche qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, la natura abusiva di una clausola sugli interessi moratori inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, in assenza di opposizione proposta da quest’ultimo ma poi stabilisce che l’art. 6, par.1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che consente al giudice nazionale, qualora accerti la nullità di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, di integrare detto contratto rivedendo il contenuto di tale clausola. Analogamente Corte giust. UE 30-5-2013, n. 488.

[13] Corte di Giustizia UE, 25 novembre 2020, C-269/19.

[14] Si veda in materia C. Sartoris, Clausola (abusiva) di risoluzione anticipata e poteri del giudice nella sentenza bankia s.a. della corte di giustizia, in Persona e Mercato, 2019/3, 19.

[15] Per una riflessione generale sul tema dei poteri correttivi del giudice nel nostro ordinamento, si vedano: G. Benedetti, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 1, 17 ss.; G. Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, 1, 20 ss.; C.M. Bianca, Il contratto, Diritto civile, III, 2000, 33 ss.; A. Riccio, Il generale intervento correttivo del giudice sugli atti di autonomia privata, in Danno e resp., 2006, 411 ss.; M. Barcellona, I nuovi controlli sul contenuto del contratto e le forme della usa eterointegrazione: Stato e mercato nell’orizzonte europeo, in Eu. dir. priv., 2008, 41 ss.; A. D’Adda, La correzione del “contratto abusivo”, in Le invalidità di diritto privato, a cura di A. Bellavista, A. Plaia, Milano, 2011; S. Pagliantini, Nullità di protezione, integrazione dispositiva e massimo effetto utile per il consumatore: variazioni sul tema dell’asimmetria contrattuale, in Pers. e merc., 2012, 10, 848 ss.; S. Guadagno, Squilibrio contrattuale: profili rimediali e intervento correttivo del giudice, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 12, 744 ss.; S. Mazzamuto, Il contratto: verso una nuova sistematica?, in Jus Civile, 2016, 5, 347 ss.; M. Pennasilico, La correzione giudiziale dei contratti, in Rass. dir. civ., 2016, 1, 179 ss.

[16] Corte di Giustizia UE 30 aprile 2014, causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai.

[17] Nel caso richiamato si trattava dell’art. 83, Real decreto legislativo 1/2007, che, nel regolare gli effetti della non apposizione della clausola, prevedeva l’integrazione della lacuna sia con norme dispositive, sia con una regola creata dal giudice; il problema è stato affrontato con conclusioni analoghe anche da Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, causa C-488/11, Asbeek Brusse, in Jus Civile, 2013, 7, 388, con nota di R. Alessi, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti fermi dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse, in cui ad essere valutata era la (in)compatibilità della norma olandese che attribuiva al giudice il potere di ridurre equitativamente l’importo di una clausola penale ritenuta manifestamente eccessiva.

[18] Corte di Giustizia UE 14 giugno 2012, C-618/10, cit., par. 69.

[19] Ancora, Corte di Giustizia UE 14giugno 2012, C-618/10, cit., (par. 65).

[20] Corte di Giustizia UE, 25 novembre 2020, C-269/19.

[21] La tesi che sostiene la capacità di buona fede ed equità di integrarsi reciprocamente è sostenuta da C.M. Nanna, Eterointegrazione del contratto e potere correttivo del giudice, Padova, 2010, 240, secondo la quale, infatti, le due clausole hanno finito per avvicinarsi nel corso del tempo, per cui «la sola differenza che si può evidenziare tra i due principi è costituita dal fatto che la buona fede costituisce lo strumento teorico, che il giudice deve tenere sempre presente per valutare l’equilibrio di un contratto, l’equità rappresenta il mezzo pratico per dare giustizia nel caso concreto».

[22] P. Iamiceli, Nullità parziale e integrazione del contratto nel diritto dei consumatori tra integrazione cogente, nullità ‘nude’ e principi di effettività, proporzionalità e dissuasività delle tutele, in Giust. civ., n. 4, 2020, p.745.

[23] Per una lettura critica della giurisprudenza comunitaria sotto questo specifico profilo si veda, A. D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e “massimo effetto utile per il consumatore”: nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto, in I Contratti, 1/2013, 26 ss., 26. In prospettiva parimenti critica S. Pagliantini, Post-vessatorietà ed integrazione del contratto nel decalogo della CGUE, in Nuova giur. civ., 2019, 564, che vede nell’approccio della Corte di Giustizia il «riflesso di una supremazia assiologica della deterrenza sulla giustizia contrattuale».

[24] Per un approfondimento sul punto F. Sangermano, La tutela del consumatore nella prospettiva dei “nuovi” vizi del consenso quali figure sintomatiche: dalla rigidità alla flessibilità, in Nuove leggi civ. comm., 6/2021.

[25] In tema di forza cogente, si veda F. Gazzoni, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, rist. 2019, 188 ss.; S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, 42-52.

[26] Corte Giust. UE, 16 luglio 2020, C-224/19, Caixabank, § 54-55, dove si afferma che: “il fatto che una clausola contrattuale giudicata abusiva va ritenuta come mai esistita può giustificare l’applicazione delle eventuali disposizioni del diritto nazionale, che disciplinano la ripartizione delle spese di costituzione e di cancellazione dell’ipoteca in mancanza di accordo tra le parti. Orbene, se tali disposizioni pongono a carico del mutuatario la totalità o una parte di tali spese, né l’articolo 6, paragrafo 1, ne l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 ostano a che sia rifiutata la restituzione, al consumatore, della parte di dette spese che egli stesso deve sostenere. (....) l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che, in caso di nullità di una clausola contrattuale abusiva che pone il pagamento della totalità delle spese di costituzione e di cancellazione dell’ipoteca a carico del consumatore, il giudice nazionale rifiuti la restituzione al consumatore degli importi pagati in applicazione di detta clausola, a meno che le disposizioni del diritto nazionale che sarebbero applicabili in mancanza della clausola in questione impongano al consumatore il pagamento della totalità o di una parte di tali spese”.

[27] P. Iamiceli, op. cit., 753.

[28] Alla luce di una siffatta situazione di inferiorità, ritiene la Corte che tale direttiva obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo che garantisca che qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di trattativa individuale possa essere controllata al fine di valutarne l’eventuale carattere abusivo; così sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C-260/18, EU:C:2019:819.

[29] Corte di Giustizia UE 30 aprile 2014, causa C-26/13.

[30] Così A.M.S. Caldoro, Clausole abusive e rimedi alla caducazione: rimessione delle parti alle trattative, nuova frontiera (o terra incognita)?, in i Contratti 3/2021, 283.

[31] Cosi nella recente Corte Giust. UE, 16 luglio 2020, C-224/19, Caixabank.

[32] Per un approfondimento sul punto si veda, G. Perlingieri, A. Fachechi (a cura di), Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto contemporaneo, I e II, Napoli, 2017; G. Perlingieri, Presentazione, in A. Fachechi (a cura di), Dialoghi su ragionevolezza e proporzionalità, Napoli, 2019, VII-XII.

[33] Corte di Giust. UE, 11 settembre 2019, C-383/18, Lexitor,§ 29 e § 34.

[34] Cfr. ABF, Collegio di coordinamento, decisione n. 26525 del 17 dicembre 2019.

[35] In tema di obbligo di trasparenza, si veda: Corte di Giustizia UE 5 giugno 2019, C-38/17, in Foro it., IV, 23, con nota di A. Iuliani, La trasparenza consumeristica nell’interpretazione della Corte di giustizia e della dottrina; in tal senso, già Corte di Giustizia UE 3 maggio 2020, C-125/18, cit.; Corte di Giustizia UE 20 settembre 2018, causa C-448/17, in Rep. Foro it., 2018, voce Unione europea, n. 1934; Corte di Giustizia UE 21 dicembre 2016, cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, in Rep. Foro it., 2016, voce cit., n. 2143; Corte di Giustizia UE 23 aprile 2015, causa C-96/14, in Rep. Foro it., 2015, voce cit., n. 1860; Corte di Giustizia UE 26 febbraio 2015, causa C-143/13, ivi, n. 1861; Corte di Giustizia UE 30 aprile 2014, causa C-26/ 13 cit; Corte di Giustizia UE 21 marzo 2013, causa C-92/11, id., 2014, IV, 4.

[35] Cfr. in tal senso, in un caso di mancata inclusione nel TAEG di voce di costo marginale, ABF, Coll. Palermo, Decisione n. 25181 del 21 novembre 2019.

[36] Cfr. in tal senso, in un caso di mancata inclusione nel TAEG di voce di costo marginale, ABF, Coll. Palermo, Decisione n. 25181 del 21 novembre 2019.

[37] Sul punto si veda, Corte Giust. UE, 14 giugno 2012, C-618/10, Banco Espanol. Ed invero, fino alla sentenza Banco Español de Crédito, cit., la Corte di Giustizia non aveva mai affrontato realmente il problema degli effetti della non apposizione della clausola abusiva, limitandosi ad affermare che spettava al giudice nazionale trarre dalla caducazione del patto “tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore non sia vincolato da detta clausola”.

[38] Su cui ampiamente: F. Cafaggi, P. Iamiceli, C. Angiolini, F. Casarosa, A. Van Duin, M. Grochowski, et al., Re-Jus Casebook on Effective Justice in Consumer Protection, Trento, 2018, in https://www.rejus.eu/content/materials, 9 ss. Essenziali i richiami a Corte giust. UE, 27 giugno 2000, C-240/98, Oceano Grupo Editorial (sul potere di rilevazione ex officio); Corte giust. UE, 4 giugno 2009, C-243/08, Pannon (in cui il poter si fa dovere di rilevazione); Corte Giust. UE, 28 luglio 2016, C-168/15, Tomašova (in tema di responsabilità per mancata di rilevazione della questione inerente alla violazione del diritto UE da parte del giudice).

[39] P. Iamiceli, op. cit., 723 ss.

[40] F. Bocchini, E. Quadri, op. cit., 1011.

[41] Sul punto si veda il contributo di C.M. Nanna, op. cit., 500.

[42] Così A.M.S. Caldoro, Clausole abusive e rimedi alla caducazione: rimessione delle parti alle trattative, nuova frontiera (o terra incognita)?, in I Contratti, 3/2021, 285.

[43] Sul punto si v. C. Granelli, Pratiche commerciali scorrette: alla vigilia del recepimento della Dir. 2019/2161/UE, in i Contratti, 5/2021.

[44] Si veda A. Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Diritto privato europeo, a cura di Lipari, II, Padova, 1997, 489 ss.

Fascicolo 1 - 2022