Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Autonomia privata e negozio giuridico nel pensiero di Vincenzo Scalisi (di Enrico Gabrielli, Professore ordinario di Diritto civile – Università di Roma “Tor Vergata”)


Il saggio esamina criticamente il pensiero e gli studi di Vincenzo Scalisi sui temi dell'autonomia privata e del negozio giuridico, ponendo in luce l'importanza che gli stessi rivestono nella letteratura civilistica.

Private autonomy and legal act in Vincenzo Scalisi’s studies

The essay critically examines Vincenzo Scalisi's thought and studies on the topics of private autonomy and legal act, highlighting their importance in the civil law literature.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La sistematica degli interessi: gli interessi a rilevanza attuosa - 3. Segue. Gli interessi a rilevanza attuosa negativa - 4. Gli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica - 5. Interessi e negozio giuridico - 6. Un percorso teorico e la sua conclusione - NOTE


1. Premessa

Il compito che mi è strato affidato, di parlare del pensiero e dell’opera di Vincenzo (Enzo) Scalisi in materia di autonomia privata e di negozio giuridico, è assai arduo, ai limiti dell’impossibile, soprattutto nel limitato spazio di una relazione, per la ampiezza dell’impegno nella ricerca e nella riflessione che Enzo Scalisi, ha compiuto nel corso del Suo laboriosissimo e luminoso percorso scientifico. Allievo di Angelo Falzea, e quindi accademicamente discendente da Salvatore Pugliatti, è riuscito a cogliere dei suoi due grandi predecessori alcuni profili che nel Suo pensiero si sono uniti in una sintesi concettuale e teorica di grande rilievo, che vede il suo centro di gravità nell’imprescindibile ruolo dell’ermeneutica. Quella ermeneutica che verrà, in seguito, applicata anche al “valore della dignità”, in uno degli ultimi ma significativi lavori [1], laddove espressamente l’a. scrive che il senso del diritto è “approntare la regola giuridica più appropriata (vale a dire l’effetto giuridico più ‘conveniente’ e ‘adatto’) a dare tutela agli interessi volta a volta portati dai fatti della vita. Di norma una tale regola discende dall’alto di sovraordinate e precostituite fonti di produzione giuridica, ma altre volte trae origine dal basso di fattualità naturali, economiche, sociali, dotate di forza normativa per conforme e generalizzata attuazione spontanea dei consociati si pensi alla c.d. lex mercatoria” [2]. In entrambi i casi, afferma VS, spetta all’interprete di cogliere e fissare la regola con specifico riferimento alla particolare e concreta situazione di interessi di cui si tratta, attraverso un’attività che non è di sussunzione o di sillogismo, ma di una “vera e propria valutazione produttiva e creativa”, che è essa stessa costitutiva del dover essere giuridico. La valorizzazione dell’elemento formale, che rimane sempre rilevante nel pensiero della Scuola messinese, si unisce, con la valorizzazione dell’interesse concreto sotteso ad ogni situazione da regolare. In un certo senso, riprendendo, forse, anche l’insegnamento di Rosario Nicolò, secondo cui il concetto di interesse è “un prius rispetto al diritto, un dato preesistente all’ordinamento che lo prenderà più o [continua ..]


2. La sistematica degli interessi: gli interessi a rilevanza attuosa

La discussione centrata sulla natura degli interessi, distaccandosi dalla teoria del comportamento di Falzea, trova una più ampia sistemazione, mediante una propria autonoma, originale elaborazione, nelle pagine sul negozio giuridico raccolte nel prezioso volume sul negozio giuridico [9], nelle quali è sempre la dimensione, anche assiologica e valoriale, dell’interesse il punto di partenza e potremmo dire, anche di arrivo, nel pensiero di VS: l’interesse domina la scena e la pervade della sua presenza costante ed immanente nelle pagine sulla autonomia privata e sulla teoria del negozio giuridico. Quella che potremmo chiamare “la sistematica degli interessi” nel pensiero di VS viene quindi organizzata lungo due direttrici di inquadramento: gli interessi a rilevanza attuosa; gli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica. L’eleganza della costruzione concettuale del fenomeno, rilevato dalla dimensione del reale ed assunto in quella teorica, ne impone una attenta valutazione della singola e differente loro struttura. Il punto di partenza del discorso che li riguarda è sempre la teoria del negozio giuridico e la dimensione dell’autonomia privata. Scrive VS che ogni discorso sul negozio giuridico deve prendere le mosse dalla domanda se la categoria rifletta un dato reale dell’esperienza giuridica o se, al contrario, non sia una mera astrazione priva di riscontro nella realtà, cioè un “concetto astraente, senza referente nell’esperienza pratica: un paradigma logico, una mera forma metastorica” [10]. La considerazione che l’atto negoziale ha “radici ben salde nel sistema della fenomenologia comportamentistica, iscrivendosi il negozio nella categoria degli atti programmatici”, vale a dire a quei comportamenti che si concretizzano ed esauriscono nel porre in evidenza l’interesse e nel prospettarne il relativo programma realizzativo, apre l’indagine per individuare la “negozialità”, nel senso della sua natura “assiologico-pratica” [11]. In questa linea di ricerca si staglia con immediatezza, nella pagina di VS, la visione dell’interesse come “radice di tutto il diritto”, poiché l’interesse “fissa l’ambito di rilevanza e il significato stesso del fatto nel diritto” e dato che la sua considerazione è prioritaria e preminente, si [continua ..]


3. Segue. Gli interessi a rilevanza attuosa negativa

La figura del negozio giuridico è incompatibile, secondo VS, anche con la categoria degli interessi a rilevanza attuosa negativa, vale a dire con quegli “interessi appartenenti anch’essi alla realtà materiale di persone e cose oppure a quella immateriale (…), la cui rilevanza, ai fini della predisposizione da parte del diritto di adeguati interventi di reintegrazione della situazione d’interessi violata, presuppone necessariamente che la lesione medesima abbia già trovato concreta, effettiva, immediata e attuale realizzazione mediante il compimento di comportamenti materiali o anche significanti di tipo manifestativo oppure dichiarativo” [16]. Si tratta di situazioni in cui si assiste ad illeciti sia contro le cose, sia contro le persone, ovvero a fattispecie che attengono alla lesione di beni immateriali, quali l’identità personale, la privacy, l’onore, la reputazione, la vita di relazione, laddove l’interesse colpito e leso è sempre un interesse a rilevanza attuosa, dato che la reazione dell’ordinamento giuridico è subordinata al presupposto che la lesione abbia i caratteri dell’im­mediatezza e della attualità, così che anche i comportamenti illeciti – siano essi meramente materiali, siano essi comportamenti significanti di tipo manifestativo in senso stretto o simbolico, che incidono negativamente su tali interessi – sono da qualificare attuosi, poiché anche nel caso di interessi immateriali la lesione che essi producono è sempre il risultato del significato reso manifesto dal comportamento illecito. Il negozio – così come si è visto accadere per gli interessi a rilevanza attuosa positiva – rimane ad essi estraneo, poiché non è in grado, anche in queste ipotesi, di produrre una lesione immediata e diretta di interessi. Il negozio, infatti, nella visione di VS, tanto non è in grado di produrre una immediata e diretta realizzazione, quanto non è in grado di produrre una immediata e diretta lesione di interessi. L’atto di autonomia, infatti, quale manifestazione di un intento, cioè di una tensione della volontà verso il conseguimento di un risultato pratico, e quale proiezione verso il futuro di un determinato assetto di interessi da regolare, non è dotato di una immediata e attuale forza lesiva di interessi giuridici. E [continua ..]


4. Gli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica

Rileva, infatti, VS che, accanto agli interessi a rilevanza inattuosa, esiste una vasta tipologia di interessi e scopi pratici che sia sul piano quantitativo, sia su quello qualitativo, assume una ben più ampia e significativa consistenza, per i quali però è necessario l’intervento preventivo e qualificativo dell’ordinamento, senza del quale i privati non sarebbero in grado di realizzarli [17]. Ne offrono esemplificazione, tra i molti, l’interesse traslativo nei contratti ad effetti reali (1376 cod. civ.); quello al godimento del bene in alcuni contratti di utilizzazione di cose; quello a rimuovere l’incertezza sulle situazioni controverse; quello nei contratti di assicurazione e in quelli di garanzia, e così via dicendo. Con la conclusione secondo cui, non solo tutte le situazioni che coinvolgono interessi di natura contrattuale soggiacciono al medesimo principio realizzativo, ma vi rientrano anche quelle in cui l’interesse è alla base dei negozi di diritto famigliare, dell’atto di ultima volontà, delle promesse dei negozi unilaterali. Sicché risulta che nella realtà sociale la realizzazione dell’interesse non dipende dalla diretta ed immediata attività dei soggetti, ma unicamente dal diritto, il quale “previa valutazione di compatibilità e meritevolezza della situazione di interesse”, è in grado di procurare l’integrale e compiuta realizzazione di quel fine pratico, che l’autore o gli autori dell’atto volevano realizzare, “mediante la messa a disposizione di corrispondenti effetti finali (e diretti) o anche soltanto strumentali” che richiedono in quanto tali di porre in essere corrispondenti attività esecutive [18]. La concreta realizzazione dell’interesse, però, avviene in maniera differente tra i primi e i secondi tipi di effetti: in quelli ad efficacia finale, la semplice produzione dell’effetto è sufficiente per realizzare l’interesse perseguito, poiché tra il mutamento giuridico e la modificazione puramente ideale della realtà vi è un rapporto diretto. In quelli ad efficacia strumentale, invece, il mutamento necessita di una successiva attività dei soggetti per la realizzazione dell’interesse perseguito, che viene valutata dall’ordinamento (come necessaria, o come dovuta o come possibile) “a [continua ..]


5. Interessi e negozio giuridico

È dunque evidente come alla base della riflessione si pone, nella lezione di VS, la considerazione della sostanza reale degli interessi in conflitto e da regolare, secondo una legge costante di ogni vicenda connessa alla dinamica degli effetti e dell’efficacia giuridica, che è quella del principio di convenienza dell’effetto al fatto [23]. Interessi per i quali è evidente che la considerazione dell’atto di autonomia limitata al suo intrinseco contenuto si rivela insufficiente, dovendosi apprezzare, nella sua unitarietà e complessità, l’intera operazione economica nella quale il negozio e il contratto si inserisce, al di là del suo mero schema formale. In tal senso è fondamentale anche l’affermazione di VS secondo cui è necessario guardare il regolamento negoziale da quello che assai efficacemente è stato definito “il c.d. punto di vista esterno al contratto, ossia la situazione complessiva, della quale il singolo contratto è diretta esplicazione o nel cui contesto lo stesso è destinato a interagire”, poiché tale situazione “ha valore costitutivo, non soltanto ermeneutico, dell’assetto regolamentare del contratto” [24]. Così che secondo VS il «negozio è la complessiva operazione risultante dalla confluenza di tre distinti ma concorrenti elementi: un interesse a rilevanza inattuosa, un programma pratico di azioni dirette alla sua realizzazione, una situazione finale rappresentata da corrispondenti effetti intesi a procurare l’attuazione giuridica dell’interesse. I primi due elementi integrano il momento sostanziale del fenomeno e il terzo il necessario e ineliminabile momento formale” [25].


6. Un percorso teorico e la sua conclusione

Il percorso attento all’analisi della conformazione dell’interesse, nelle sue variegate connotazioni, iniziato da VS con lo studio sulla revoca del testamento si compie e si conclude, dunque, nei saggi sul negozio giuridico, laddove si pone in evidenza che la negozialità “altro non è che una peculiare modalità del processo di realizzazione giuridica degli interessi, è più precisamente la forma teorica e organizzativa di una intera categoria di interessi umani, quella degli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica, una dimensione – come tale – della giuridicità assolutamente reale e praticamente fondata. E si tratta di una dimensione comune al contratto come alle promesse, al matrimonio come al testamento e in genere a tutti quegli atti, nei quali la realizzazione di interessi e valori non solo è opera esclusiva del diritto, ma si colloca anche in una fase – rappresentata dalla produzione degli effetti – necessariamente successiva a quella della preventiva enunciazione programmatica di interessi e regole operata dai soggetti” [26]. Le conseguenze di tale impostazione sono di grande momento, anche se hanno formato oggetto di discussione critica in dottrina, da chi ha osservato che in quella ricostruzione il negozio avrebbe una funzione meramente dichiarativa o rappresentativa, laddove la funzione prescrittiva apparterrebbe allo Stato, il quale, dopo aver sottoposto il negozio al controllo di meritevolezza e di validità, sarebbe in grado di assicurare a quel­l’assetto di interessi l’efficacia, con la conseguenza che questa costruzione, convincente sul piano della razionalità della storia, sarebbe meno persuasiva sul terreno della sintassi dei significati e nella riduzione della regola al fatto [27]. In realtà, questa rappresentazione del pensiero di VS a me pare, a sua volta, riduttiva della ricchezza di sfumature logico-concettuali attraverso le quali VS propone la sua configurazione teorica del negozio. Laddove VS dopo aver recuperato il negozio alla sua dimensione non solo pratico-organizzativa degli interessi, ma soprattutto assiologica degli effetti di volta in volta perseguiti mediante la realizzazione dell’inte­resse programmato, lo colloca “tra l’interesse e la sua realizzazione”, lo individua “nella sua reale funzione prospettica e progettuale”, lo restituisce [continua ..]


NOTE